Nostra esclusiva : LA ROCCIA SOAVE, JOSE’ LUIS DA TUCUMAN

05-04-2018 14:00 22 C.

Abbiamo intervistato Jose’ Palomino, che ringraziamo insieme all’ufficio stampa dell’Atalanta BC Andrea Lazzaroni. 

Intervista di Rodrigo Diaz

Sarà per i tratti decisi del suo volto, sarà per quel modo di correre con le gambe leggermente arcuate che ricorda i calciatori rocciosi di un antico calcio epico, sarà perché gli attaccanti avversari si schiantano quando gli sbattono contro, che mi aspettavo di incontrare un’aspra roccia venuta dalla fine del mondo.
Invece, nel primo accenno di primavera della bassa, mi si presenta un ragazzotto dagli occhi scuri e profondi, con un sorriso soave e una gentilezza da uomo umile.
Mi fa accomodare seduto a fianco, come per una chiacchierata amichevole e non un’intervista ufficiale. Ha già capito chi siamo e non è il caso di fare i formali.

“Chiacchieriamo in italiano o in spagnolo?”

“Un po’ e un po’.”

E’ arrivato con il caldo estivo, da sconosciuto. Gli occhi della gente erano dedicati verso altri, invece Josè Luis da San Miguel de Tucumàn è stato il primo fra i nuovi a mettersi in mostra in campo e a guadagnarsi da subito la grazia del mister. Senza proclami e senza fronzoli. E senza che si sapesse chi fosse veramente.

“Chi è Josè Luis Palomino?”

Sorriso

“Non so molto bene come descrivermi. Penso di essere una persona tranquilla. Una persona che ama molto il suo lavoro. Che ama molto allenarsi. Sì, sono una persona tranquilla a cui piace il proprio lavoro.”

“Cosa ti piace fare fuori dal rettangolo di gioco?”

“Mi piace stare con la mia famiglia. Con la mia fidanzata. Con il mio cane. Mi piace passeggiare per la città. Prendere un caffè. Trascorrere il tempo con chi mi sta vicino.”

E’ vero, un po’ e un po’. Risponde un po’ in italiano e un po’ in spagnolo, con la cadenza armoniosa dei sudamericani, che danno musicalità anche alle parole.

“Quando, da bambino, hai iniziato a giocare al calcio, ha cominciato subito da difensore?”

“Da portiere!”

“Da portiere?”

“Sì, ho cominciato come portiere. Poi però ho cambiato. Ho cominciato a giocare a quattro anni e mezzo. Ero troppo piccolo. E da portiere ci si doveva allenare troppo.”

Sorridiamo. Proprio lui che fa dell’allenamento una ragione di vita.

“Ho iniziato nell’Atletico Tucumàn, la squadra della mia città. Poi sono andato a Buenos Aires, al San Lorenzo. Sempre da difensore. Ho sempre fatto quel ruolo.”

“Se non avessi fatto il calciatore, cosa avresti fatto?”

“Mi sarebbe piaciuto fare l’architetto. Sì, mi sarebbe piaciuto molto fare l’architetto. Però credo che se non avessi fatto il calciatore avrei lavorato nell’azienda della mia famiglia. I miei hanno un magazzino e credo che se non fossi qui, sarei stato là a lavorare con loro.”

Un gomito sul tavolo e l’altra mano sul bracciolo della sedia dove sono seduto io. Mentre mi lascio scivolare con le gambe accavallate. Una chiacchierata fra amici e il registratore sul tavolo è solo un soprammobile superfluo.

“San Miguel de Tucumàn è solo un punto di partenza o anche un punto d’arrivo?”

“Tucumàn è sicuramente un punto di ritorno. Ogni volta che posso, vado a casa mia, dai miei. Ho colleghi che vanno a Dubai o in altre località turistiche. Io, appena posso ritorno a Tucumàn. Lì ricarico le mie batterie. Sono molto “familiero” (non lo traduco perché penso che renda perfettamente quello che Josè Luis cerca di spiegare). Mi dà un’energia incredibile stare nella mia città, con chi mi conosce e mi vuole bene.”

“Quindi, alla fine della tua carriera, il più tardi possibile, tornerai a San Miguel de Tucumàn?”

“Ancora non lo so.”

Lo dice in italiano. Quasi inconsciamente per introdurre la frase successiva. Sempre in italiano

“Ho solo ventotto anni e non devo decidere adesso, ma posso dirti che Bergamo mi piace molto. Non scarterei l’ipotesi di venire a vivere qui. Quasi sicuramente la scelta sarà fra Argentina e Italia.”

“Magari il cognome Palomino ha delle radici italiane.”

“Sicuramente gli antenati di mio padre erano di origine italiana. Quelli di mia mamma non lo so.”

Ritorniamo al calcio. E’ bello vedere come Josè Luis spazia volentieri da argomenti personali ad altri professionali.

“Il salto dall’Argentina all’Europa, alla Francia, è stato più o meno difficile di come te lo aspettavi?”

“Devo dire che non è stato un problema. Per fortuna, mi adatto velocemente e facilmente e questo mi ha aiutato a non soffrire il cambio di continente. Così come non ho sofferto il passaggio da Bulgaria a Italia.”

E questo l’abbiamo capito da soli. Abbiamo ancora fresco il ricordo le sue prestazioni fin dalle amichevoli estive.

“Allora dimmi le differenze fra il calcio argentino, quello francese, quello bulgaro e quello italiano.”

“In Bulgaria ho giocato in una squadra molto forte. Là però mancano di competitività, sia tecnica che tattica. Servono più squadre di livello.

In Francia ho giocato in una squadra di seconda fascia, con il solo obbiettivo della salvezza. Giocando solo per difendersi. Però lì ci sono solo due squadre fortissime e il resto molto livellato.

Qui in Italia invece gioco in una squadra che gioca alla pari con tutte. Sempre con la stessa mentalità, sia che si giochi conto Juventus o Napoli, sia che si giochi contro il Benevento. Giochiamo sempre per vincere, attaccando per ottenere sempre il massimo e questo mi piace molto.

Il calcio italiano è il più completo. C’è velocità, tecnica, tattica e ci sono molti giocatori forti, in tutte le squadre. Tutte le partite sono difficili. Tanto difficili. In Argentina invece si corre molto, ma si pensa poco.”

“L’attaccante più forte che hai marcato?”

“Higuain. L’ultima partita qua a Bergamo l’ho sofferto molto. L’altra volta non era stato così difficile, ma questa volta ho veramente fatto fatica. La prossima volta farò meglio. Devo fare meglio.”

“Come ti immaginavi l’Atalanta prima di venire qui. Insomma, quando ti hanno contattato dove pensavi di finire?”

“Mi immaginavo di arrivare in una buona società, che avrebbe lottato per non retrocedere. Sapevo che lo scorso anno aveva fatto un grande campionato, ma avevo l’idea che la struttura fosse per lottare per la salvezza.”

“Invece?”

“Invece appena ho messo piede a Zingonia ho capito che era tutta un’altra cosa. E’ bastato fare i primi allenamenti e conoscere le persone per capire che ci stavamo preparando per fare qualcosa di più grande. Che l’obiettivo era provare a tornare di nuovo in Europa League.”

Si è fatto serio Josè Luis. Ha aggrottato le sopracciglia, schiarito la voce e mi ha guardato dritto negli occhi.

“Non mi immaginavo di trovare tanta fame come quella che tutti noi abbiamo.”

Un po’ e un po’. Avevamo deciso di farla così l’intervista. Pardon, la chiacchierata. Ed ora ci troviamo io a fare le domande in spagnolo e lui a rispondere in italiano.

Passa Raimondi. Poi Ginami con un paio di colleghi e saluta. Uno dei due sembra un po’ stranito da come stiamo chiacchierando a lingue inverse.

“Parlando invece di Bergamo. Cosa ti piace?”

“La gente. Mi fa sentire bene. Mi fa sentire tranquillo. Come vive. Mi piace anche la città. Come si presenta. La struttura. Città Alta. I locali discreti. Una città piccola, tranquilla, che però ti può offrire tutto.”

“E qualcosa che non ti piace?”

“Non ci ho mai pensato. E se devo dirti qualcosa, adesso non mi viene in mente niente.”

E’ sempre pacato il tono di voce di Josè Luis. Sorride spesso, ma accompagna sempre il discorso con un tono soave. Gli piace parlare e sembra che gli piaccia tanto anche ascoltare.

“Adesso facciamo una prova. Pensa ad un tuo amico d’infanzia in Argentina e cerca di convincerlo a venire a visitare Bergamo.”

“Lo dico sempre!”

Non lascia spazio alla fine della domanda che mi anticipa con la risposta, come quando entra in anticipo sull’attaccante avversario.

“Lo dico sempre a mio fratello. Ai miei amici. Qui ci dovete venire. Qui non è come in Bulgaria, non è come in Francia. Dovete venire a conoscere Bergamo. Come si vive, come si mangia. E’ anche vicina a Milano e potete vederla e capire qual è la differenza fra Milano e Bergamo.
A Bergamo c’è tutto. La bellezza e la tranquillità. Ad esempio, ieri siamo andati con Toloi e Gosens a prendere un caffè. Così, per passeggiare. Per goderci un po’ il tempo, la gente, la città. E’ molto bello e rilassante.
Mi piace bere il mate, con la mia ragazza. E passeggiare.
La gente è molto rispettosa. Vedo che quando le persone mi riconoscono, non sono invasive, hanno quasi timore di disturbare per chiedermi di fare una foto.
Ecco perché mio fratello e i miei amici devono venire a Bergamo. E’ diversa. Per me. Non so per gli altri, ma per me è così.”

E lo dice mettendosi una mano sul petto, come per sottolineare che è solo una sua opinione personale, ma che è sincera.

“Allora adesso cerca di convincere me, bergamasco, a venire a San Miguel de Tucumàn”

“Ah, devi venire a casa mia. Innanzitutto per il clima. Anche là c’è la montagna, come a Bergamo. La città è piena di giovani. Dinamica, ma tranquilla. E’ la più piccola delle grandi città d’Argentina. Poi si mangia bene.”

Non so perché, ma assieme guardiamo il volume della mia pancia. Ha capito subito dove è il mio punto debole, per convincermi.

“Vieni, ti troverai bene. Non è come a Buenos Aires, dove la gente va a mille. Qui ti fanno sentire in famiglia, c’è armonia e tranquillità…
…si mangia e si beve bene,”

Insiste, Josè Luis.

Oltretutto, la sua città è famosa perché lì, il 9 luglio 1816 fu dichiarata l’indipendenza dalla Spagna.

Vorrà dire che ci andrò a visitare quella regione, che viene soprannominata “El jardìn de la repubblica.”

Va bene, siamo scivolati su un argomento interessante.

“Parlando di cibo. Conosci i casoncelli e la polenta?”

“La polenta col salame. Buonissima.
I casoncelli meno. Mi piace di più la pasta, gli spaghetti. La mia ragazza non mangia carne. Allora non ne mangio troppa nemmeno io, cerca di convincere anche me.”

“Allora, tra asado e polenta preferisci…”

“…polenta, sicuramente.”

“Tanta roba, la polenta!”

Da dietro arriva la voce di Toloi. Passava di lì e appena ha sentito Josè Luis parlare di polenta ha messo dentro la testa per dire la sua, con il suo sorriso carioca.

“Polenta con il formaggio. Polenta con il salame. Anche da me in Argentina si mangia la polenta. Con salsa rossa, di pomodoro. E’ un polenta di consistenza un po’ diversa. Qui a Bergamo è migliore.”

L’allenamento sta per iniziare. Qualche compagno passa nel corridoio. In fondo si sente la voce di Gasperini.

“Cosa ti senti di dire ai lettori di atalantini.com?”

“Abbiamo sofferto come voi, all’eliminazione dall’Europa. Grazie per essere venuti in giro per l’Europa con noi. E’ stato emozionante sentirvi vicini in Francia, in Inghilterra, in Germania.
Abbiamo sofferto come voi. E ce la stiamo mettendo tutta per ritornarci. Con grinta. Lotteremo fino alla fine, ve lo assicuro.”

Lo ringrazio. E’ ora di scendere in campo.

C’è da preparare un’altra battaglia.

 

Rodrigo Dìaz

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By Staff di Atalantini.com


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