Cosa ne pensate?

Ultimoumo.com, dedica un articolo ai due gol di Scamacca contro il Cagliari.
Cosa ne pensate ?
"Mi dava l’impressione di uno che volesse togliersi per volerla passare…», dice Dario Mastroianni, commentatore per DAZN di Atalanta-Cagliari, scusandosi per aver pensato, poco prima, che Gianluca Scamacca avesse segnato il gol dell’1-0 «senza farlo apposta».
Ederson ha aperto il gioco con un lancio caramellato per Lookman; Lookman è arrivato fino in fondo e ha messo dentro un cross in cut-back; Zappacosta sul lato debole ha controllato e calciato tutto solo, ma ne è venuto fuori un tiro stortignaccolo, troppo stretto, che sarebbe tornato indietro da Lookman, se Scamacca non lo avesse deviato nell’angolino della porta.
A dirla tutta, l’impressione che Scamacca non l’abbia fatto apposta viene più riguardando la giocata al replay che in diretta. In particolare dall’inquadratura dietro la porta, dove si vede che Scamacca devia appena il pallone, con un movimento davvero minimale. Un movimento “in levare” che gli permette di far appoggiare il pallone su una porzione del proprio tallone, come se Scamacca stesse deviando un raggio di luce con uno specchietto per accecare il portiere. Da dietro, sembra davvero che Scamacca voglia solo togliere il piede.
E anche guardando la sua faccia, sembra, se non proprio scontento, neanche pienamente soddisfatto. Rassicurato, quando vede la palla dentro, come uno che ha un problema che si risolve improvvisamente da solo. Scamacca sembra fatto così, mai veramente soddisfatto, eppure, almeno in parte, megalomane. Un giocatore dalla tecnica sublime e minimale con idee barocche, esagerate, persino per uno con la sua reputazione e la sua storia.
C’è uno Zlatan Ibrahimovic dentro Scamacca, lo sappiamo da tempo, ma è uno Zlatan pigro, che invece di alzarsi dal divano e fare cento trazioni alla sbarra - come il vero Zlatan - ti manda un messaggio su Whatsapp mentre sei in cucina per chiederti se puoi portargli un pacchetto di patatine. Non sto dicendo che Scamacca non ha etica professionale, o che sia realmente pigro - non lo so, non lo conosco, come potete immaginare - sto dicendo che il suo talento ha qualcosa di pigro. E i talenti pigri sono i miei preferiti.
Quanti anni sono che parliamo di Gianluca Scamacca? Ve lo dico io: più di dieci. Quasi undici, anzi (qui su Ultimo Uomo gli abbiamo già dedicato quattro pezzi: questo è solo il più recente). Era il gennaio 2015 quando ha lasciato il settore giovanile della Roma per andare in Olanda, al PSV Eindhoven, ed è almeno da allora che ne parliamo. Con delle pause, certo, che corrispondono alle pause che si è presa la sua carriera. Pigrizia e pause vanno a braccetto, d’altra parte.
Ormai sappiamo che su Scamacca non possiamo contare e, da come esulta, forse lo sa anche lui. Deve essere difficile convivere con quel tipo di talento, sapere di cosa si è capaci ma sapere anche che non dipende fino in fondo dalla propria volontà. Saperlo, cioè, più di quanto lo sappia chiunque altro. Perché qualcuno può permettersi il lusso di credersi onnipotente, gridare ai quattro venti la propria forza, dichiarare di voler conquistare questo o quello, come tanti piccoli Napoleoni mindsettati, pronti a mettere la faccia nel ghiaccio appena svegli, ma Scamacca no. Scamacca deve accontentarsi di quello che Scamacca può fare.
Lo scorso anno si è infortunato prima di iniziare, è arrivato Mateo Retegui per sostituirlo e i primi tempi Retegui e il suo entourage erano tutti un: quando torna potremo giocare insieme; poi però Scamacca non è tornato e Retegui ha preso il suo posto anche in Nazionale, prima di andare a guadagnare 20 milioni all’anno in Arabia Saudita. Non che lui guadagni poco (è quello dell’Atalanta con lo stipendio più alto, quasi 6 milioni lordi all’anno) ma forse anche a lui piacerebbe guadagnarne 20.
Per via dell’infortunio al ginocchio e delle sue conseguenze ha giocato appena 5 minuti nell’intera stagione 2024/25. È tornato dopo 363 giorni, ad agosto, poi ha segnato alla prima giornata contro il Parma - un gol che definirei carino, un tiro a giro sul secondo palo, rasoterra, da fermo, piano, la stilizzazione stessa di un tiro a giro - e poi si è infortunato di nuovo. Ha dovuto di nuovo aspettare, e noi con lui.
Ma i talenti che vanno aspettati, beh, sono i miei preferiti. Non mi piace la fretta, la bulimia, efficientare il talento, metterlo a regime, regolarizzarlo, razionalizzarlo e poi consumarlo, masticarlo, finché in bocca non ha perso ogni sapore, e allora sputarlo. Preferisco guardare Scamacca e non sapere neanche se lo ha fatto apposta, a deviare quella palla di tacco.
Preferisco quella faccia lì dopo il gol, quei saltelli, quella bocca a “O” e la ricerca del primo compagno vicino per cercare conferma che qualcuno lo abbia visto, quello di cui è capace Scamacca. Ma poi, tutto sommato, è davvero importante se lo ha fatto apposta oppure no
Siamo ossessionati dalle intenzioni degli altri. Vogliamo essere certi che dietro le cose più belle non ci sia neanche un briciolo di casualità, deve essere tutto assolutamente voluto, razionale, programmato, pensato in anticipo. Visualizziamo, immaginiamo, prefiguriamo, pre-vediamo. La vera vittoria, in fin dei conti, è proprio quella della mente sullo stesso talento, tenuto alla briglia come un cavallo invisibile, utilizzato come uno strumento e non come una guida, un’ispirazione, qualcosa che ci permette di essere in connessione con tutto quello che abbiamo intorno.
Posizioniamo il centro di noi stessi nella testa - crediamo ancora all’anima che risiede nella ghiandola pineale, in un certo senso - deve venire tutto da lì, dall’idea. Poi c’è la sua esecuzione. Ma a volte idea e esecuzione avvengono in contemporanea - o forse chissà, viene prima l’esecuzione e poi l’idea, è la testa a capire quello che fanno cuore, pancia, mani oppure, nel caso dei calciatori, piedi. La favola dell’intenzione ce la raccontiamo a posteriori, perché non vogliamo vederci come parte di un tutto difficile da distinguere; vogliamo sentirci in controllo, di questo “tutto” che percepiamo appena.
Avere la certezza dell’intenzione è come guardare un disegno che un bambino ha colorato perfettamente senza uscire dai contorni: fare le righe nere intorno alle figure per evitare che si mischino al paesaggio: tenere le cose separate, qui ci siamo noi, con le nostre idee, i nostri progetti, qui c’è tutto il resto. Ci mette l’ansia pensare che invece la vita è sfumata, mescolata, che a volte facciamo, sentiamo e solo poi, se siamo fortunati, capiamo. Che a volte la vita fa al posto nostro.
Poi il Cagliari ha pareggiato. Una combinazione tecnica tra Gaetano, di tacco, e Sebastiano Esposito, di esterno, tecnicamente perfetta, senza sbavature. Pensata e fatta, non c’è niente che non sia pulito in quel gol. Oggettivamente, è un gol più bello sia del primo che del secondo di Scamacca. Soggettivamente, però, io preferisco il secondo di Scamacca.
Samardzic era entrato in campo da due minuti e crossa al centro dell’area. Scamacca fa il vuoto intorno a sé, ovvero tiene il marcatore alle proprie spalle senza sforzo e può permettersi di provare una specie di mezza rovesciata in piedi, come un bambino che gioca col compasso in classe, alzando la gamba fino a dove gli adduttori e l’anca glielo permettono. Ma sbuccia la palla, la prende male.
È fortunato una prima volta: il pallone resta lì, alla sua portata. Può calciarlo di nuovo, cadendo, prima che arrivi Caprile. Ed è fortunato una seconda volta, perché, cadendo, calcia male. Si calcio sul piede d’appoggio, col destro colpisce il proprio piede sinistro. La palla va dentro e Scamacca si alza piano. Ancora una volta, non sembra pienamente soddisfatto. Al tempo stesso, fa il segno del “due” con la mano, per ricordare, qualora qualcuno lo avesse dimenticato, che aveva segnato un altro gol poco prima.
Scamacca ha segnato un gol che sembrava fortunato e invece era voluto - lo era? - e poi un gol che ha voluto fare in due modi diversi ma non c’è riuscito, ma che ha fatto lo stesso. Non c’è distinzione tra farlo apposta e non farlo apposta, tra quello che vuole lui e quello che succede al di là di lui.
Scamacca è contraddittorio, un attimo allarga le braccia come un rapace in cerca di piccole prede, guardando il pubblico negli occhi, sfidandolo, sfidando la sorte che con lui è stata infame; un attimo dopo ha l’aria cupa, i tatuaggi che gli arrivano sul collo sembrano muoversi, allargarsi, prendersi più spazio, coprirgli la faccia, nasconderlo alla luce solare come un vampiro introverso. Scamacca che ha tutto, ma che a volte si ritrova con niente in mano. L’eterna lotta tra la potenza, la possibilità di fare qualsiasi cosa, e l’impotenza, l’impossibilità di fare niente. Ecco cosa rappresenta Scamacca.
Per una volta Scamacca ha fatto male - quella specie di rovesciata, il tiro che bastava spingere dentro, il tiro più facile della sua vita - ma le cose gli sono andate bene lo stesso. «In questo momento, gira anche un po’ tutto bene, se vogliamo», ha detto Mastroianni dopo questo secondo gol. E ci mancherebbe altro, aggiungo io, che ogni tanto le cose non possano andar bene anche a Gianluca Scamacca.

