Appena tre mesi fa, Milan e Atalanta si sono affrontate in una partita senza storia. Un 2-0 in cui i rossoneri hanno messo il timbro definitivo sullo scudetto, mentre la squadra di Gasperini prendeva atto della conclusione amara della prima vera stagione negativa dell’era. Anche se è passato poco tempo, di cambiamenti tangibili ce ne sono stati, soprattutto per l’Atalanta, anche se a leggere l’undici iniziale ci sarebbe sembrata sempre la solita storia. Forse questa partita è arrivata troppo presto per mostrarci delle vere e proprie novità, ma di sicuro gli spunti e le differenze rispetto all’ultimo confronto non sono mancati.
Un’Atalanta ancora inespressa, ma forse più solida
Nella formazione scelta da Gasperini la notizia più sorprendente è stata la presenza di Malinovskyi, nonostante le vicende relative alla sua possibile cessione e le parole non troppo concilianti dello stesso allenatore nella conferenza pre-partita. L’ucraino ha preso il posto di Muriel, in teoria, ma si è messo punta sul lato destro dell’attacco, di fianco a Zapata. Dietro di loro, sulla trequarti Pasalic, De Roon e Koopmeiners in mediana, Maehle e Hateboer sulle fasce e il trio difensivo Toloi-Demiral-Djmsiti davanti a Musso.
Nella partita di ritorno dello scorso campionato, Gasperini aveva utilizzato Pasalic in coppia con Muriel e Pessina dietro di loro, con la probabile intenzione di sfruttare gli inserimenti del croato per riempire l’area e in generale per attaccare rapidamente lo spazio di solito lasciato libero da Theo Hernandez durante le sue proiezioni offensive, anche se i risultati non furono entusiasmanti. In questa occasione, invece, l’utilizzo di Malinovskyi come seconda punta presupponeva tutt’altra interpretazione; scegliendo un giocatore più orientato ad andare incontro al pallone nei momenti di possesso consolidato, l’Atalanta ha giocato per la maggior parte del tempo con un assetto asimmetrico, con Pasalic e Malinovskyi spesso sulla stessa altezza, e Zapata che invece tendeva a defilarsi molto verso la sua sinistra.
Tavolta l’ucraino rimaneva più largo, riferimento sul lato debole per un cambio di gioco, ma le manovre di attacco dell’Atalanta non sono state particolarmente brillanti. Nonostante l’interpretazione di Zapata potesse creare dinamiche interessanti di attacco dello spazio, queste non sono state sfruttate granché a causa di inserimenti arrivati in ritardo o dell’attenzione difensiva di centrocampisti e difensori del Milan.
L’Atalanta si è ritrovata spesso a risalire da sinistra, cercando Zapata. Il colombiano era seguito in maniera molto ravvicinata da Kalulu, che non aveva paura rompere la linea con coraggio, come chiede Pioli. Nelle due azioni qui sopra, il triangolo Koopmeiners–Maehle–Zapata crea i presupposti per attaccare alle spalle di Kalulu, ma se nel primo caso l’occasione di usare Zapata come terzo uomo è vanificata dall’assenza di compagni nei dintorni (forse Koopmeiners inizia a correre troppo tardi), nel secondo invece è il colombiano a cercare la corsa di Maehle dopo aver ricevuto dal centrocampista, però questa volta è l’assorbimento di Calabria a neutralizzare l’azione.
Le principali opportunità offensive dell’Atalanta sono passate dai piedi di Malinovskji. La reattività della difesa del Milan nello scalare sui cambi di gioco, assorbire gli inserimenti e rompere la linea per andare a coprire il pallone è stata determinante per abbattere la pericolosità delle conclusioni.
Tre situazioni di ricezione sulla trequarti di Malinovskyi ben gestite dai difendenti del Milan.
È interessante però che la stessa arma che aveva consentito al Milan di stroncare le conclusioni di Malinovskyi (le uscite di Tomori) sia stata anche complice del piccolo cortocircuito ben sfruttato dall’Atalanta in occasione del gol dello stesso.
L’azione inizia proprio con Malinovskyi che cerca di mettere la palla dietro la difesa del Milan, con Pasalic, Toloi e Zapata in iniziale parità numerica contro Calabria, Messias (che aveva assorbito l’inserimento di Toloi) e Kalulu. Il lancio viene però schermato da Tomori e il successivo rimbalzo raccolto da Hateboer, che a sua volta tenta un cross verso Pasalic. La respinta di Calabria finisce tra i piedi di Maehle, e mentre Tomori rientra in posizione è Tonali ad aver preso il suo posto al fianco di Kalulu. Bennacer lascia Pasalic per andare su Toloi, il croato si porta al centro e viene notato da Tomori, ma Tonali è rimasto addosso a Zapata (insieme a Kalulu). Malinovskyi è reattivo a leggere la più classica delle situazioni di “cut-back”, muovendosi verso il limite dell’area e calciando.
Nonostante l’incisività offensiva sia stata monca per buona parte della gara, l’Atalanta ha avuto il merito di continuare a insistere senza innervosirsi troppo, e reggendosi su una buona prova difensiva, fatta di meno pressing in avanti e più attesa a media altezza. Il cartellino giallo di Toloi dopo circa un quarto d’ora avrebbe potuto essere un problema, dato che si trovava nella zona di competenza di Leao, ma si è trasformato in un’opportunità, quando Gasperini ha invertito Djimsiti e lo stesso Toloi e trovato un po’ di controllo in più rispetto all’inizio della partita nelle azioni che provenivano da quel lato del campo. Da sottolineare anche la consueta raffinatezza negli adattamenti delle marcature e gli scambi d’uomo, in particolare tra difensori e mediani.
Djimsiti e De Roon si scambiano Messias e Bennacer dopo uno sguardo di intesa; Koopmeiners lascia Bennacer per uscire su Calabria, che cerca la profondità, Djimsiti esce per andare sul centrocampista algerino mentre Demiral e Toloi coprono e marcano Rebic e Leao, ben gestendo poi la verticalizzazione.
Il Milan tra fluidità e verticalità
Come spesso accade quando il suo Milan affronta l’Atalanta, Pioli ha deciso di enfatizzare soprattutto due aspetti: la mobilità e gli scambi di posizione, specie nella fascia centrale del campo, e l’uso della verticalizzazione alle spalle della difesa.
Rispetto all’ultima partita tra le due squadre, questa volta Pioli ha scelto di non partire con Theo Hernandez bloccato di fianco ai due centrali difensivi, ma di chiedergli più partecipazione del solito nelle zone centrali. Il terzino francese, per tutta la prima ora di gioco, ha stretto la sua posizione con e senza palla, all’interno di un gioco di rotazioni e movimenti a elastico che rendevano il Milan difficile da decifrare. Il palleggio in uscita dei rossoneri è stato pressoché perfetto, complice anche la tenue resistenza nel pressing in avanti della Dea, e i campioni d’Italia sono anche riusciti a tenere una buona intensità e continuità nel possesso. L’intenzione principale col pallone era quella di utilizzare i movimenti incontro e in allontanamento laterale di Rebic per aprire spazi da attaccare direttamente con Leao e Messias.
I movimenti di Rebic, prevedibilmente, erano seguiti a fondo da Demiral (prima slide). Nella seconda slide vediamo Pioli richiamare Messias all’inserimento centrale (Rebic, fuori campo, si era allargato portando con sé Demiral). Con Brahim a fungere più da raccordo che da incursore, questi spazi potevano essere attaccati principalmente dai due esterni, ma nel corso della partita sono arrivate anche varie corse di Theo (terza slide).
Soprattutto quando la palla passava dai mediani o dai terzini, questo tipo di inserimenti era particolarmente sollecitato da Pioli. L’allenatore del Milan ha richiamato più volte Leao a portarsi più dentro il campo, ma non sempre il portoghese ci è arrivato con il giusto tempismo, e anzi alcune volte si è proprio tenuto più largo del previsto. Ma il bello delle partite di calcio è proprio che gli eventi non sono prevedibili e controllabili a tavolino. Il posizionamento talvolta “incorretto” di Leao ha a sua volta contribuito a creare qualche spazio interessante che il Milan, grazie al suo stile di gioco estremamente adattivo, è riuscito a sfruttare con inserimenti che magari in prima battuta non erano previsti, principalmente di Theo Hernandez, ma nel corso della partita anche da Bennacer o Tonali.
Nell’azione qui sopra, per esempio, Theo inizia l’azione con una conduzione centrale. Poco prima del suo passaggio verso l’accorrente Rebic, si sente Pioli urlare «Rafa, dentro!», ma Leao era ed è rimasto un po’ troppo defilato per approfittare dello spazio alle spalle di Demiral. Anche se Djimsiti riesce a neutralizzare Messias, che stava raggiungendo il pallone dopo il velo di Rebic, la prosecuzione della corsa di Theo è determinante per creare un grande pericolo, in uno spazio che grazie al posizionamento in teoria troppo aperto di Leao era ancora più aperto del previsto.
Per recuperare lo svantaggio, Pioli ha utilizzato per l’ultima mezz’ora un assetto ancora più ibrido, cambiando l’intera composizione del quartetto offensivo, con De Ketelaere e Saelemaekers nelle posizioni di Diaz e Messias, e Origi e Giroud al posto di quelle di Leao e Rebic. Ovviamente tutte le interpretazioni di questi quattro giocatori sono state differenti dai loro compagni: Giroud è venuto incontro meno di Rebic, tenendo più fissata la difesa atalantina; Origi partiva da sinistra ma ha passato più tempo tra il centro e la destra della trequarti avversaria; Saelemaekers è stato molto più aperto di Messias e de Ketelaere, pur mantenendo il lavoro di raccordo di Diaz, è riuscito anche a giocare più a ridosso delle punte, anche grazie alla presenza di due numeri 9.
In questo nuovo assetto sono cambiate anche le funzioni e il coinvolgimento di Calabria e Theo Hernandez; il primo impiegato più spesso di prima nell’occupazione centrale per compensare la posizione di Saelemaekers, il secondo più spesso aperto in ampiezza. La soluzione col doppio centravanti potrebbe essere riproposta in situazioni di svantaggio durante la stagione.
Una partita che inevitabilmente riflette il momento preliminare della stagione e la natura ancora cangiante delle due squadre, tra nuovi innesti in attesa di affermarsi, vecchie certezze che provano a reinventarsi e qualche ambiguità o soluzione estemporanea. Di certo però Atalanta e Milan sono già Atalanta e Milan, per lo meno nelle intenzioni e nei tratti distintivi a livello macroscopico. Un pareggio che forse sta più stretto al Milan, che in definitiva ha avuto modo di schiacciare l’avversario e stressarlo più a lungo nell’arco della gara, mentre l’Atalanta sembra ancora lontana dagli alti standard dei big match a cui ci aveva abituato negli ultimi sei anni, però può dirsi soddisfatta della prestazione, se la si guarda in retrospettiva sull’anno precedente.