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GRAZIE DI TUTTO, IVAN


Sono arrivato alla cascina del Tio che era sera inoltrata. C’era buio e anche un po’ di nebbia, spinta dalla brezza che scende dall’Alto dell’Ibañeta.

Ci sono arrivato diretto da Canals, nell’entroterra valenciano, dove avevo incontrato l’amico fidato Javier, tifoso viscerale del Valencia.

In questi periodi, viviamo lo stesso stato d’animo, io e Javier. Io convivo con uno stato di malumore perché l’Atalanta è scivolata nel peggiore dei suoi momenti da dieci anni a questa parte e Javier che invece in quello stato c’è da quando il Valencia ha incontrato proprio l’Atalanta, in Champions League. Che poi è stata la situazione in cui ci siamo conosciuti e in cui è nata e si è cimentata la nostra amicizia.

El Tio mi aspettava da tempo. Aveva messo a marinare nel vino rosso della Rioja il coniglio, perché sapeva che sarei passato.

“Dopo la prestazione di Marsiglia, ho messo il coniglio a macero. Perché sapevo che saresti venuto dopo la partita con il Sassuolo.”

Forse, un po’ l’avevo previsto anche io, perché avevo già comperato una bottiglia di bianco della Ribeira del Duero, già prima della gara con i neroverdi.

“Ti aspettavi che si arrivasse a questo punto?”

Gli chiesi.

“Aspettarmelo, forse no. Ma il calcio è una scienza esatta. E immaginavo sarebbe successo.”

“Non ti capisco, Tio.”

“Quando nel calcio qualcosa deve succedere, succede. Poi, tutti bravi ad averlo predetto. Ricordi quando ti dissi che l’Italia avrebbe vinto il mondiale del 2006? E ricordi quando ordinai la bottiglia “reserva” di Ramòn Bilbao dopo Liverpool sicuro di brindare all’Europa League della tua Atalanta?”

Lo guardai negli occhi.

“Ho troppe cicatrici sulle tibie, ho le caviglie troppo gonfie e ho troppo dolore ai legamenti per non poter ascoltare quello che mi dicono”.

Era loquace, El Tio.

Passeggiava avanti e indietro nella cucina. Anche il cane Ernesto era in resta, con le orecchie dritte, sul divano.

La bottiglia di Orujo de hierbas era mezza vuota e il bicchiere sul tavolo mi sembrava oltremodo sudato.

Sembrava che el Tio non avesse voglia di cucinare. Quantomeno, sembrava mi invitasse a prendermene cura personalmente.

Una cena a casa del Tio è una benedizione divina; quindi, mi misi il grembiule e andai ai fornelli, mentre il mio vecchio amico si accomodò sul divano, assieme al cane Ernesto.

“Ma cosa pensavi succedesse dopo nove anni di Gasperini?

Davvero pensavi che sarebbe bastata una scelta azzeccata per sorvolare un trauma che stava scritto anche sulla stele di Rosetta? Davvero pensavi che sarebbe bastato azzeccare una scelta per dimenticare un’era?”

El Tio era un fiume in piena.

“Ricordi cosa ti dissi a giugno, la sera che cucinammo il Bonito del Norte di Osvaldo Hondarribia?”

Ormai, il tempo del Tio era scandito dai piatti che cucinavamo insieme e dalle passeggiate verso la Basilica de la Trinidad de Arre, assieme al cane Ernesto, a parlare di tutto, che spesso era quasi un niente.

Provai a dirgli che non ricordavo, ma me lo ricordavo benissimo.

“L’allenatore chiave per la tua Atalanta non sarà il primo dopo Gasperini, ma il secondo.”

Quella era stata la sua sentenza.

“Mi spieghi perché?”

Mi fece capire che non si potevano dare spiegazioni se i bicchieri erano ancora vuoti. Allora, tolsi dal frigorifero il bianco della Ribeira de Duero e riempii i calici. E misi anche un po’ d’acqua nella ciotola del cane Ernesto.

“Il primo sarà la vittima sacrificale. Sarà colui su cui pioveranno tutti i problemi di un cambio generazionale e, ricordati bene, su cui si scaricheranno tutte le tensioni latenti, accumulate negli anni precedenti e mascherate dai risultati.”

“Quindi, mi vuoi far credere che sia stato scelto quell’allenatore per essere mandato al massacro?”

“Assolutamente no!”

Disse guardando attraverso il calice.

“A nessuno piace perdere denaro, credibilità e tempo. Hanno scelto volendo sfidare le leggi non scritte del calcio. E, alla fine, forse è andata ancora bene così.”

Il profumo che usciva dalla pentola era squisito, tanto da farmi credere che, alla fine, non fosse poi un dramma così profondo quello che stava succedendo a Bergamo.

“Io non ero preoccupato, quando lo scelsero. Mi sono preoccupato poi, col passare del tempo.”

Gli dissi.

“Anche io non ero preoccupato, perché sapevo sarebbe finita così. E non lo sono stato fino a oggi. La preoccupazione inizia ora. Perché è da adesso che non si può sbagliare.”

Ci sedemmo a tavola a gustare il coniglio. Era favoloso.

“Un brindisi a Ivan.”

Alzò il calice, El Tio.

“La scienza non scritta del calcio ha fatto il suo corso.”

Brindammo a Ivan. Brindammo al nuovo allenatore. Brindammo al nuovo corso. Brindammo per nascondere la paura e forse anche per esorcizzarla.
Brindammo anche a Javier e al suo Valencia.
E mi ritrovai a dormire sul suo divano, con il cane Ernesto accucciolato sui miei piedi.


Rodrigo Dìaz
By staff
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