25/11/2025 | 16.00
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Il ricordo e il rimpianto


Lunga intervista comparsa ieri su gazzetta.it al nostro grande ex Domenico Morfeo


La sua storia scorre come un “chissà cosa sarebbe potuto accadere” mai risolto. Nelle sue giocate si intuiva un talento ingabbiato, un fuoriclasse che non riusciva a liberarsi del tutto. Per anni ha portato addosso il peso di un’etichetta da predestinato che non è mai riuscito a confermare. Oggi vive a Parma, gestisce un ristorante e si racconta con la stessa schiettezza che lo ha accompagnato lungo tutta la carriera.

Quando parla di rimpianti, ammette che il nodo sta nell’atteggiamento: mancavano la disciplina, la voglia di allenarsi, la testa giusta. Nonostante un inizio da protagonista — come il penalty decisivo nell’Europeo Under 21 del ’96 — quel modo leggero di affrontare tutto è stato sia una fortuna sia un limite. Il calcio gli ha regalato molto, ma gli ha anche mostrato il lato più duro di un ambiente che, a suo dire, è pieno di rapporti d’interesse più che di amicizie. Tra le persone che lo hanno deluso cita l’ex presidente del Parma, mentre i ricordi migliori lo portano a pensare a Bergamo, Verona e soprattutto Parma, dove poteva giocare senza troppe gabbie tattiche.

Se deve ringraziare qualcuno, il nome è uno solo: Prandelli, l’allenatore che lo fece debuttare e che considera un maestro vero, quasi un padre. Ripensa con affetto anche ai compagni d’attacco: il divertimento con Gilardino, la forza straripante di Adriano, le promesse mantenute con Inzaghi, che davvero pagò l’accordo fatto nello spogliatoio per aiutarlo a vincere la classifica marcatori. In ogni squadra ha lasciato un aneddoto, come le polemiche a Firenze o la sfida all’albero che gli valse una maglia da titolare all’Atalanta.

All’Inter, pur avendo lasciato qualche lampo in Champions, sa di non aver dato tutto ciò che ci si aspettava dalla maglia numero dieci. Riconosce che avrebbe potuto finire in Nazionale maggiore, ma ammette che la testa non lo ha aiutato e che a un certo punto la voglia di competere è svanita. Da lì la scelta di fermarsi, senza rimpianti per aver lasciato il pallone.

Oggi dice che il calcio non gli manca affatto. Anzi, osserva quel mondo dall’esterno con disincanto e nessun desiderio di tornarci. E afferma di aver trovato altrove — nel suo locale e nella sua vita quotidiana — una serenità che il campo non era più in grado di offrirgli.



By staff
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