22/06/2022 | 15.00
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Il VAR ha reso il calcio un posto peggiore?




Cosa sta andando storto nell’utilizzo del VAR in Italia? Sì, perché qualcosa sta andando storto. Inutile girarci intorno, mentre le massime istituzioni del nostro calcio continuano a prodigarsi in spiegazioni sempre più accurate delle procedure di valutazione degli episodi dubbi, nonché delle percentuali di errori arbitrali evitati grazie al VAR, le polemiche tra tifosi e società sembrano addirittura aumentare. Il sistema calcio pare essere entrato anzi in una sorta di stato dissociativo, per usare le categorie della psicologia, tale per cui più il VAR “funziona”, ovvero il suo protocollo viene collaudato, più le sue decisioni vengono considerate ingiuste. Un non senso, apparentemente, che però come un lapsus freudiano potrebbe rispondere in realtà a logiche più profonde, da ricercare magari mettendo in discussione alcuni assunti dati al momento per scontati.










Il suo obiettivo era azzerare le polemiche


Secondo alcuni autorevoli esponenti della classe arbitrale, ad esempio, l’obiettivo dell’introduzione del VAR non sarebbe mai stato la riduzione delle polemiche tra tifosi o società. Come detto infatti dall’ex designatore Rizzoli nel 2019: “Il Var è un aiuto, uno strumento importante e utile. Nessuno ha paura di utilizzarlo o intenzione di farne a meno. Però, non eliminerà mai le polemiche: ognuno la vede a modo proprio”. Una posizione in netta antitesi rispetto a quella di varisti più decisi come Marcello Nicchi, che nel dicembre 2017 da presidente dell’AIA si compiaceva di un mondo del calcio finalmente pacificato sotto l’egida della videoassistenza: “Il Var ha portato serenità e azzerato le polemiche, e chi vuole parlare oggi di calcio si può sbizzarrire senza parlare futilmente di un calcio d’angolo o di un rigore”.

Al di là dell’effettiva veridicità delle dichiarazioni di Nicchi, il VAR viene introdotto proprio per avere un calcio più “giusto”, come dichiarato più volte dal presidente FIFA Gianni Infantino, e arbitri “più protetti”. Più che nel campo della tecnica siamo in quello della morale. Per questo la posizione rizzoliana rischia di essere ingenua: il VAR è uno strumento chiamato a migliorare un processo, certo, ma un processo fortemente innestato nella morale. La figura dell’arbitro nasce proprio per dirimere le polemiche tra le due squadre che si contendono la vittoria, e viene introdotta precisamente il 2 giugno 1891 in una riunione dell'International Board, su proposta della Football Association inglese, mentre prima di allora ci si era affidati al fai-da-te con risultati modesti.

Oltretutto ci sono passaggi del protocollo VAR che fanno direttamente riferimento alla “credibilità” dello strumento, e quindi alla necessità di non offrire il fianco a proteste di ogni sorta. Si pensi ad esempio alla scelta di usufruire, per la videoassistenza, solo delle stesse immagini che vengono trasmesse dai broadcast televisivi: come si legge nel manuale prodotto da FIFA e IFAB nel 2017, “l'integrità del sistema VAR sarebbe compromessa se i broadcast potessero mostrare filmati non disponibili al VAR/arbitro che contraddicono la decisione del VAR/arbitro”. Ciò nonostante il VAR, nel corso di quest’ultima stagione, pare aver definitivamente perduto quell’aura di infallibilità che stimolava le certezze di Nicchi.

 





 

“Ci sono squadre convinte di star lottando contro il Sistema”


Se prima gli errori della videoassistenza scandivano gli anni - dal rigore “in fuorigioco” concesso al Genoa contro la Juve nel 2017, al gol di mano di Cutrone in Milan-Lazio del 2018, fino al celebre non-fallo di mano di D’ambrosio in Fiorentina-Inter del 2019 e a Milan-Roma dell’ottobre 2020, in cui Giacomelli riuscì ad inventarsi un rigore per parte - in questa stagione abbiamo invece assistito ad un incremento delle sviste costante e inarrestabile.

Tra gli episodi più eclatanti, in ordine sparso, il rigore non concesso in Torino-Inter dopo il contatto Belotti-Ranocchia, il rigore concesso in Venezia-Bologna per fallo inesistente di Medel su Aramu, il bel gol in rovesciata annullato a Di Francesco in Empoli-Fiorentina per un impercettibile tocco di Pinamonti su Terracciano (episodio che farà sbottare di fronte alle telecamere il solitamente irreprensibile Andreazzoli: “Che l’arbitro cambi mestiere!”), il clamoroso errore in Milan-Spezia commesso dall’arbitro Serra, così “sereno”, per citare Nicchi, che è scoppiato a piangere in campo dopo essersi reso conto di aver tolto a Messias un gol buonissimo (qualora avesse applicato la regola del vantaggio). Un Serra tanto “protetto”, per dirla invece con Infantino, che da quel 17 gennaio non ha più arbitrato in Serie A se non come Assistente VAR.

E poi ovviamente il surreale gol in fuorigioco di Acerbi in Spezia-Lazio, l’errore simbolo della stagione della nostra classe arbitrale: la videoassistenza dalla sala di Lissone traccia la sua linea e convalida, ma traccia la linea sbagliata, non accorgendosi che il difensore laziale è ben oltre il portiere spezzino e quindi resta un solo uomo a difendere la porta (l’episodio farà dire a Mourinho che in fondo il calcio è rimasto quello di vent’anni fa: si può sempre segnare in fuorigioco). Per dire del clima che questi ultimi due errori hanno contribuito a creare, si pensi solo al ricorso del Codacons, che ha chiesto ufficialmente di rigiocare entrambe le partite.

Per non parlare delle ultimissime giornate: dell’intemerata di Mourinho contro Banti, colpevole di aver concesso alla Fiorentina un rigore a dir poco generoso per lievissimo tocco di Karsdorp su Nico Gonzalez (prima giudicato non falloso, e poi segnalato “illegalmente” da Guida al VAR), del gol ingiustamente convalidato a Leao contro l’Atalanta nella penultima giornata, o di episodi meno decisivi ma comunque inspiegabili, come la ripetizione del rigore di Insigne contro il Genoa, sempre nella penultima giornata, sempre su segnalazione del VAR, quando nessun genoano aveva invaso l’area di rigore.

 





 

Questa serie interminabile di errori ha intossicato il dibattito sportivo come forse non accadeva dai tempi delle intercettazioni calciopoliane, tanto che anche un indefesso sostenitore del videoarbitraggio come il giornalista Giovanni Capuano ha dovuto ammettere in un editoriale su Panorama che “ci sono squadre convinte di star lottando contro il Sistema con la S maiuscola”. Nello stesso articolo ha però anche tessuto le lodi del VAR, che a suo avviso “non è morto, con buona pace di chi vorrebbe metterselo alle spalle”. Perché se gli errori sono evidenti, è altrettanto evidente che si è trattato di “errori umani, non della tecnologia e nemmeno del protocollo”. Ha addossato quindi le responsabilità della “tossicità del dibattito” all’assenza di una cultura sportiva in Italia, dove “già l'errore di campo era mal sopportato, e quello davanti a uno schermo è diventato l'appiglio per gridare al complotto e allo scandalo”.

La posizione di Capuano può essere sotto molti aspetti condivisibile, è ben noto infatti il legame inscindibile tra cultura del sospetto e tifo nel nostro Paese, e però sembra stonare con la profondità del suo ragionamento la controargomentazione che adduce a favore del VAR: “gli interventi di correzione andati a buon fine sono molti di più”. Una considerazione che tenta ancora una volta, come nel caso di Rizzoli, di ricondurre la bontà del sistema VAR a mere questioni percentuali. Mentre, se si approfondissero meglio alcune storture sollevate nello stesso articolo, si potrebbe provare ad affrontare una discussione seria su cosa sia esattamente il VAR, senza escludere a priori la possibilità che il videoarbitraggio stesso possa avere degli aspetti problematici non riconducibili al rispetto dei protocolli.


 

 

Fonte: guerinsportivo.it
By 98Fabry
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