Questa e' la
riproduzione di un articolo di
un quotidiano cartaceo pubblicato ieri mattina che ci hanno fatto pervenire
ma che non siamo riusciti ad
identificare. Sotto vi riportiamo il video che avevamo gia' messo l'altro
ieri durante la festa e che viene citato nel pezzo. Sotto ancora una curiosa
immagine futuristica della Coppa
La maxi
Coppa
di Davide
Ferrario
Monumento
molto bergamasco. Per il lavoro e la dedica.
Giusto
ricordare i tanti che hanno visto le sconfitte e non hanno potuto gioire
per il trionfo
Tutto bello,
bellissimo la sera di venerdì. Ma il momento più epico non sono stati i
discorsi, le rievocazioni, gli ex, i messaggi, le maglie. E stato il video
della realizzazione della statua della coppa, e non parlo delle immagini di
Dublino.
Non riesco a
immaginare nulla di più intrinsecamente bergamasco di due tifosi come Nicola
Trapattoni e Cristoforo Giorgi (che nella vita fanno uno il marmista e
l’altro l’imprenditore edile) i quali si mettono a tirar su con le proprie
mani un monumento senza aspettare nessuna commessa ufficiale (ricordate i
problemi per la fallita re-intitolazione di piazzale Goisis?).
Invece loro,
niente — maglietta d’ordinanza che omaggia il Bocia, trapano e scalpello in
mano, aria da gente che vive di lavoro pane e Atalanta — testa bassa e via,
a darsi da fare perché alla fine è quello che ci riesce meglio da
sempre.
La filosofia
della famosa maglia sudata, certo. Ma non finisce qui, perché l’essere
bergamaschi non si esaurisce in un cieco amore per il lavoro.
Occorre altro,
per dargli un senso. Ed ecco la dedica, che non va a nessun giocatore o
dirigente in vita, ma a «chi l’ha sempre sognata e non ha potuto viverla».
Perché ciascuno di noi ha un familiare o un amico che per destino non ha
potuto vedere quello che nessuno aveva mai nemmeno sognato.
Così, una
volta a casa, ho aperto la porta del mio piccolo santuario nerazzurro,
confinato in un sottoscala per volere della mia compagna (di mestiere fa la
scenografa e la capisco....). Tra biglietti usati, sciarpe e memorabilia
vari, c’è anche la foto del mio amico di stadio Martino, che se ne andò
giusto l’anno che è arrivato Gasperini.
È una foto
scattata nello stadio della Juve in uno di quegli anni in cui da lì
tornavamo sempre bastonati. Ride e con le dita fa il segno del «tre». Sono i
gol che avevamo preso fino a quel momento. Tre come quelli che avremmo
segnato a Dublino. Fanno tutti parte della stessa storia, quella che ci
tiene tutti insieme.
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