''El Clarìn'' racconta il Papu
El Clarin, uno dei piu' importanti quotidiani argentini, pubblica una rubrica periodica chiamata "Argentini nel mondo" e un paio di giorni fa ha presentato ai suoi lettori nientemeno che il nostro Papu Gomez. Ecco la lunga intervista che ne è uscita nella traduzione di Rodrigo Diaz

PAPU GOMEZ, L’AUDACE CHE NON SMETTE DI SORRIDERE CON LA PALLA. E’ UN IDOLO NELL’ATALANTA E SI DIVERTE CON IL SUO BALLO SOLIDALE
L’attaccante si è trasferito nel 2010 per giocare tre stagioni nel Catania, ha avuto una fugace avventura in Ucraina da cui scappò a causa della guerra civile e ha collezionato quattro stagioni nell’Atalanta. E non sogna di tornare in Argentina
Capitano e idolo dell’Atalanta, Alejandro Gomes, “Papu” per tutti, ha disputato 234 partite e segnato 48 gol in serie A, fra Catania e Atalanta. Si è formato nell’Arsenal di Sarandì e ha giocato tre stagioni nel San Lorenzo.
Prima di diventare il simbolo dell’Atalanta, ha avuto un periodo non piacevole in Ucraina nel bel mezzo della guerra civile. Ma si è ripreso, pronto a vincere, tanto che è entrato nelle mire di Sampaoli per giocare il mondiale di Russia, che poi ci ha ripensato e lo ha lasciato a casa. E di questo non ne vuole parlare.
E, oltre a non passare inosservato per il suo buon rendimento, si distingue per altre due cose. Le sue fasce da capitano e il suo ballo per festeggiare il gol, ormai virale sui social.
Le fasce portano modelli particolari, come personaggi di Disney, supereroi oppure immagini di Halloween, e altre come omaggio ai morti della Chapecoense o a Papa Francesco.
“Tutto è nato quando un amico mi ha regalato una fascia personalizzata per il compleanno di mio figlio Bautista. Siccome non era molto bella, mia moglie (Linda) che è designer, ha detto che avrebbe potuta modificarla e renderla migliore, poi avremmo trovato qualcuno che la realizzasse. Così che tutte le partite commemoriamo fatti o cose, in accordo con la data. Ne è uscita una buona cosa.”
La popolarità del suo ballo si deve a Marco Borriello, che postò sui suoi social il primo video “baila como el papu”, dove lo si vedeva muovere le braccia e le ginocchia.
“Dopo che l’ha messo, alcuni youtubers italiani mi hanno proposto la canzone e con il ballo tutto è esploso. Non pensavo avesse una ripercussione così grande.”
Assicura con una certa sorpresa il papà di Costantina, e spiega perché si è poi trasformato in un motivo d’orgoglio.
“E’ molto bello, perché tutto il ricavato va alla fondazione Gli insuperabili che lavora con i ragazzi disabili che giocano a pallone. E’ attiva in tutta Italia e non avuto alcun dubbio quando mi hanno proposto di essere il padrino della loro sede bergamasca.”

E aggiunge
“Il ballo è stato disco d’oro, disco di platino e mi ha fatto un gran piacere, soprattutto per i bambini. Più viene visto su youtube e più viene scaricato, più aiuti possiamo dare a questi bambini che ne hanno bisogno."
Molto prima di tutto ciò, Alejandro Gomez emigrò dall’Argentina. Dovette fare la prima scelta. Catania o Bari, entrambe in serie A. Scelse la squadra siciliana per la massiccia presenza di giocatori argentini che vi militavano a quei tempi.
“L’idea di poter giocare con molti argentini era molto importante per me e per la mia crescita, perché l’ambientamento sarebbe stato più facile, pertanto non ho avuto molti dubbi. Mi sono trovato in un ambiente simile a quello argentino. Gli italiani, soprattutto quelli del sud, ci assomigliano molto.”
Che città ha trovato quando sei arrivato a Catania?
“Molto bella, molto estiva. Ovviamente in inverno è mezza morta, ma quando ti alzi alla mattina vedi il mare. C’era un clima spettacolare, pieno di argentini. Mi è stato facile ambientarmi. Mi aiutarono molto i ragazzi che già erano là, come Pablo Alvarez, Mariano Andujar, Mariano Izco, Ezequiel Carboni, Nicolas Silvestre e il Pata Castro. Poi arrivò Diego Simeone come allenatore. Sono stati tre anni incredibile, anche perché andavamo molto bene”
E la squadra?
“A quei tempi era una squadra spettacolare, era in piena crescita. Veniva da diverse staguioni in serie A ed era appena stato terminato il centro sportivo. Era la squadra della città e per questo era molto importante per tutti che la squadra stesse nella massima serie. Sono stato in un club bellissimo è’ stato un peccato tutto quello che è uscito dopo a livello societario e le successive retrocessioni. Ma adesso sembra che stiano per tornare in B."
In quelle tre stagioni, Gomez ha condiviso lo spogliatoio con 14 argentini contemporaneamente.
“Era abbastanza raro che in uno spogliatoio si parlasse più spagnolo che italiano, ma per noi era fantastico. Ridevamo un sacco. Ci trovavamo anche fuori dal campo per mangiare asado. Vivevamo tutti molto vicino, alcuni nello stesso quartiere. Sono stati tre anni spettacolari, non c’è mai stato un problema ed abbiamo costruito una grande amicizia. Era bellissimo andare ad allenarci insieme, poi alla domenica a giocare e il lunedì che eravamo liberi, ci trovavamo in 25 a mangiare asado., c’erano anche i parenti. Alcune volte ci trovavamo per fare un complesso musicale. Quando è arrivato Castro, abbiamo cominciato a suonare la cumbia. La verità è che ci siamo trovati benissimo.”
Dopo tre stagioni a Catania, nella sua testa c’era l’idea di provare a cambiare aria.
“Stavo vedendo che non potevo fare più di quello che avevo già fatto. Quindi volevo andare in una squadra più grande.”
Racconta il Papu, che era vicino ad andare all’Atletico di Simeone
“Non sono potuto andare a Madrid perché le società non si sono messe d’accordo. Il Catania voleva più soldi per me e l’Atletico non aveva la capacità finanziaria che ha ora. Quindi non si è potuto fare.”
Scelse di emigrare in Ucraina e vestire la maglia del Metalist.
“In quel momento erano forti, c’erano alcuni argentini, si giocava la Champions e si lottava per i primi posti.”
Com’è la cultura ucraina?
“Molto diversa dalla nostra e da quella italiana. Il freddo non aiutava di certo, ma la cosa peggiore era la guerra civile che era cominciata. Dopo una stagione, ho deciso di andarmene.”
Ti sei sentito minacciato dalla guerra in qualche momento?
“Sì, perché c’erano le manifestazioni nella piazza principale e io abitavo vicinissimo al centro. Da una parte c’erano quelli favorevoli all’entrata nella Comunità Europea, dall’altra quelli più vicini alla Russia. Un giorno che ero libero, sono andato in centro in macchina, tutto sembrava tranquillo, io non capivo quello che dicevano i notiziari, e all’improvviso mi sono trovato in mezzo a gente incappucciata, con i bastoni, armata. Poi, quando non capisci la lingua, tutto diventa più difficile. La città era a ferro e fuoco, non c’era molta polizia e la società non era in grado di garantirci la sicurezza necessaria per proseguire.”
Dalla fuga dall’Ucraina sono seguiti tre mesi in Argentina, allenandosi da solo e a metà del 2014 è arrivata la chiamata dell’Atalanta. Della quale è diventato idolo e capitano.
“Che mi abbiano dato la fascia è stata una responsabilità molto gradita. Si erano ritirati due giocatori storici e hanno deciso di darla a me. Sono qua da 4 anni e sono uno dei veterani, perché l’Atalanta ha sempre molti giovani in rosa. Uno è contento per la fascia, ma dentro lo spogliatoio ha il dovere di seguire i più giovani, consigliarli e dare una dritta al loro cammino.”
Come ci descrivi Bergamo?
"E’ una città carina e ha tutto. E’ vicinissima a Milano. E’ come se Bergamo fosse Avellaneda e Milano la Capitale (Buenos Aires n.d.t.). E’ praticamente confinante. E’ una città super ordinata e storica. L’Atalanta è una delle squadre provinciali più blasonate del calcio italiano, molto organizzata e con il maggior numero di presenze in serie A.”
Come si fa per strappare un titolo alla Juventus?
"Credo che quest’anno è stato l’unico fra gli ultimi dove è stato possibile contendere il titolo alla Juve fino alla fine. E’ molto difficile. Hanno la più grande capacità d’acquisto di tutti. Vendono bene e possono comprare spendendo tanti soldi.. Io giocatori arrivano e rendono. Oggi è la numero uno in Italia ed è difficile contendergli il titolo. Negi latri anni, vinceva con 10 – 15 punti. Quest’anno è stato più difficile perché il Napoli ha combattuto, praticando un buon calcio. Non ha vinto, perché ha dovuto lottare duro contro chi giocava per la Champions, la Europa League e la salvezza.”
Pensi di ritirarti nell’Arsenal (di Sarandì n.d.t) o comunque in Argentina?
"Non è nei miei piani di rientrare in Argentina per la fine della mia carriera. Penso di ritirarmi in Italia o comunque all’estero. Mi sento bene qui e non sono nostalgico. Quando mi manca qualcuno faccio venire qui i miei amici o la mia famiglia. Mi sono adattato bene al campionato italiano e non vedo motivo per cambiare. Quando sarò più vecchio, magari penserò a campionati più tranquilli come in America, Dubai o Cina o qualche altro. Ma finchè riesco a giocare al massimo livello, preferisco giocare nel campionato italiano o on quello spagnolo."
ARSENAL, DA SARANDI’ AL MONDO
Era nato nella festa di Avellaneda e nonostante fosse il nipote di Hugo Villaverde, difensore multi-campione con l’Independiente negli anni '70 e '80, Alejandro Gómez iniziò a vestire il numero cinque Rojo.
“Siccome l’Independiente si allenava abbastanza lontano da casa mia, ho preferito iniziare con l’Arsenal, che era più vicino. Andavo con gli altri o in bicicletta.”
A Sarandì si è sempre distinto.
“Iniziare lì è stata una buona cosa. Sapevano come prendermi e insegnarmi piano piano. Finda piccolo facevo la differenza e mi facevano giocare nelle categorie superiori. Io sono dell’88 e mi facevano giocare con gli 87 e 86. A 14 – 15 anni Burruchaga mi portò in ritiro con la prima squadra. Ma hanno sempre rispettato i miei tempi e mi hanno cresciuto bene.”
A 17 anni cominciò a trovare spazio e Josè Maria Bianco lo fece debuttare in prima divisione nel pareggio 1-1 con il Gimnasia.
“E’ stato molto bello. Ricordo che mi concentravo con il “polipo” Gonzalez. Avevo i nervi tesi di un ragazzo che stava per coronare un sogno. L’Arsenal era un club molto buono, con poca pressione e ti permetteva di allenarti e giocare tranquillo.”
Dopo due anni di esperienza in “primera” gli è toccato vivere gli anni più gloriosi di questa società. Prima ci fu la Coppa Sudamericana 2007 battendo in finale l’America del Messico e poi la Suraga bank 2008, battendo in finale il Gamba Osaka, in Giappone.
“Abbiamo fatto delle buone “sudamericane”, ma mai ci si aspetta di diventare campioni con l’Arsenal. Però avevamo nella testa che avremmo potuto fare bene. Abbiamo eliminato il San Lorenzo, il Goiàs, il Guadalajara e il River ai rigori in semifinale. Così ci siamo trovati a giocare una finale che non avremmo mai pensato.”
Come hai vissuto a distanza la decadenza e la retrocessione dell’Arsenal?
“E’ stata una cosa molto triste, però era nell’aria. Alla morte di Don Julio, si è visto che i ricambi non erano all’altezza. L’Arsenal ha avuto sempre dei buoni ricambi e la verità è che negli ultimi anni non è stato più così. Si vedeva che non potevano più rimanere in “Primera”. Oltretutto ci sono stati tantissimi cambi tecnici, cosa che una volta non era così.”
Dopo l’Arsenal ha giocato due stagioni nel San Lorenzo, una squadra dove i problemi extra calcistici erano all’ordine del giorno.
“Giocare nel San Lorenzo è stato molto importante, perché non è da tutti. Ma sono arrivato in un momento complicato, con problemi economici ed extra calcistici, ma la squadra era buona. Non abbiamo vinto niente, ma per me è stata una buona stagione. Ho potuto giocare con gente importante, sotto la pressione che si ha in un grande club con uno stadio pieno.”
Te ne sei andato con la voglia di giocare ancora qualche stagione nel San Lorenzo?
“Sì, perché me ne sono andato nel mio miglior momento al San Lorenzo. Mi ero ambientato nel club. L’ultima stagione l’avevo giocata da protagonista e avevo molta voglia di vincere il campionato. Arrivò Ramon Dìaz come allenatore e mi comprò il Catania.”
Il resto è storia….
