19/12/2025 | 20.00
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Quando il click vale più del rispetto

C’è una linea che non andrebbe mai superata. Una linea fatta di dignità, umanità e silenzio. In questi giorni è stata calpestata senza esitazione da una parte dell’informazione sportiva, che ha dimostrato ancora una volta come, pur di racimolare qualche visualizzazione in più, sia disposta a speculare anche sul dolore più intimo.

Un padre muore. Le circostanze non vengono rese pubbliche. La famiglia chiede riserbo. Il giocatore sceglie il silenzio. La società, con un gesto sobrio e composto, annulla la cena di Natale in segno di lutto, senza comunicati, senza proclami, senza trasformare il dolore in marketing. Un comportamento esemplare. Eppure non basta.

Basta invece poco ai media: un’indiscrezione, una voce, un “si apprende che”. E la notizia rimbalza ovunque, rilanciata con titoli ammiccanti, allusivi, spesso inutilmente dettagliati. Non per informare, ma per attirare. Non per rispetto, ma per traffico. Non per dovere professionale, ma per cinismo.

Questa non è informazione. È sciacallaggio.

Anche a noi quella certa soffiata era arrivata. Come istintivamente ci e' arrivato il modus operandi di estremo rispetto e umanita' di chi quell'informazione avrebbe dovuto gestirla. Noi che non siamo giornalisti ma scriviamo comunque di sport.

E anche chi scrive di sport dovrebbe ricordarsi che prima degli atleti ci sono le persone. Che dietro una maglia, un numero, un contratto, c’è un figlio che ha appena perso il padre. E che il silenzio, quando viene chiesto, non è un vuoto da riempire, ma un confine da rispettare.

Pubblicare una notizia che la famiglia non vuole divulgare non è “diritto di cronaca”. È arroganza. È mancanza di empatia. È la dimostrazione di un sistema che ha perso qualsiasi bussola morale e che confonde l’interesse pubblico con la morbosa curiosità.

Per non dire che chi diffonde senza averne certezza rischia sanzioni di carattere civile e penale oltre ad aversi garantito il disprezzo di chi percepisce la mancanza di rispetto e la lesione della privacy altrui.

Fa ancora più rabbia vedere come tutto questo avvenga sotto l’etichetta dell’informazione sportiva, quella che dovrebbe unire, raccontare passioni, non infierire su tragedie private. Trasformare un lutto in contenuto è un atto di profondo disprezzo verso il dolore altrui. Punto.

Da tifosi, prima ancora che da lettori, proviamo vergogna. Vergogna per chi scrive senza scrupoli. Vergogna per chi condivide senza pensare. Vergogna per un sistema che premia il rumore e punisce il silenzio.

Il rispetto non fa click. Ma dice molto di più su chi lo pratica. E oggi, purtroppo, troppi dimostrano di non averne affatto.
By staff
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