Come sta il calcio italiano nel 2019

05-07-2019 10:18 9 C.

Un punto sulla situazione mentre il calcio giocato è fermo.

Quando il campionato è fermo il rumore del calciomercato si fa assordante e sovrasta troppo spesso ogni altra riflessione. È la fiera di paese in cui tutti sono in un gigantesco hangar e urlano – tanto chi compra quanto chi vende – e fuori c’è una folla confusa di persone che parla di quello che sta accadendo all’interno. Però un momento in cui il calcio è senza partite può anche servire a incrociare dati e rapporti, alcuni molto recenti, per avere un’idea dello stato di salute del calcio italiano.

Il calo dei telespettatori, l’insignificante aumento degli spettatori

C’è stato, durante l’ultima stagione 2018/19, un comportamento irrituale da parte della Lega di serie A: se in tutte le stagioni precedenti ogni settimana venivano pubblicati i dati dei telespettatori di ogni partita, e quindi si poteva avere accesso a numeri certi, per l’ultimo campionato, invece, non ci sono dati certi disponibili a tutti. Ma il Fatto Quotidiano è entrato in possesso di questi dati che non sono felici: a quanto pare sono calati gli abbonamenti e anche le persone sedute davanti alla tv. 

Un campionato fa, gli abbonati alle pay tv erano 4 milioni, quest’anno quelli di Sky sono stati 3 milioni (compreso un milione di persone che ha scelto il pacchetto condiviso con Dazn), mentre quelli solo di Dazn sono stimati in circa 300mila. La somma fa 3,3 milioni in questa stagione, la differenza con quella passata fa 700 mila abbonati circa in meno. E l’audience cumulata nel solo girone di andata è di 91,5 milioni di persone, che confrontato con i 133 milioni di un anno fa dice che il calo è del 31%.

È, invece, in lievissimo aumento la presenza negli stadi. I due dati non sono collegabili: non è automatico che meno gente davanti alla tv corrisponda a più gente negli stadi; ma i numeri dicono che quest’anno hanno visto le partite di serie A dal vivo in 9,5 milioni circa (9.469.301, media 25.051) e l’anno scorsoerano 9,4 milioni (9.418.071, media 24.784), con un incremento dello 0,54 per cento (51.230 spettatori, va però tenuto conto che l’Inter ha giocato la partita con il Frosinone a porte chiuse). Si può valutare come un timidissimo segno in continuità con gli ultimi due anni, oppure molto più praticamente come una frenata, visto che l’anno scorso l’incremento era stato del 12,62 per cento. Sì, dai: è una frenata.

C’è stato un effetto-CR7?

Siccome dall’inizio della stagione si discute di effetto-Ronaldo, ma come sempre il dibattito sugli effetti dell’arrivo di CR7 in Italia è condizionato dall’appartenenza a una tifoseria o a tutte le altre, c’è da dire che, nonostante questi dati, un impatto positivo anche per le avversarie della Juve c’è stato. Ho provato a calcolarlo mettendo a confronto le partite giocate in trasferta dai bianconeri l’anno scorso e quelle giocate quest’anno, per capire cosa è accaduto nelle città in cui Cristiano Ronaldo era la grande novità da vedere: il pubblico, nelle gare in cui la Juve era squadra ospitata e il suo numero 7 in campo, è cresciuto del 3,96%. Si è passati dai 403.166 spettatori del 2017/2018 ai 419.129 di questa stagione, quindi 15.963 persone in più e una percentuale nettamente superiore alla crescita media della serie A.

L’effetto Ronaldo è anche nell’unico dato positivo contenuto nello studio “La Serie A nel XXI Secolo: evoluzione dell’interesse, del tifo e dei ritorni per gli sponsor”, presentato nei giorni scorsi da StageUp e Ipsos. Lo studio, che si basa sulle rilevazioni dal 2000 al 2019, dice che il campionato è stato seguito da 30,3 milioni di italiani tra i 14 e i 64 anni, vicino al massimo di 30,4 milioni del 2013/2014 e in crescita di un punto percentuale rispetto alla scorsa stagione. 

L’aumento, di pubblico e di interesse, sarebbe stato maggiore, secondo i due partner che hanno effettuato lo studio, se il campionato avesse avuto una maggiore incertezza sul risultato.

Il lavoro dell’Ispos e StageUp porta però anche ad altre considerazioni: il tifo è diventato più vecchio e i giovani sono sempre meno interessati al calcio. Tra i 14 e i 34 anni gli appassionati della serie A (che seguono almeno settimanalmente l’evento) sono il 36% contro il 49% del 2001/2002. Si nota anche un calo e una polarizzazione del tifo: nella prima rilevazione (stagione 2001/2002) il tifo riguardava il 92% degli interessati e le big five della serie A (Juve, Milan e Inter, Roma e Napoli) raccoglievano il 79% di sostenitori, mentre ora il tifo riguarda il 77% degli interessati e le cinque grandi si spartiscono l’88% di supporter. 

Cresce più di tutte la Juve, che nel 2001 deteneva il 32% dei tifosi (tra gli intervistati che si sono dichiarati appassionati) e ora il 38%.

L’Italia è dietro agli altri Paesi

Il calcio in Europa nella stagione 2017/18 ha prodotto ricavi per 28,4 miliardi di euro nella stagione, 2,9 miliardi in più di quella precedente. Nel rapporto Annual Review of Football Finance 2019, pubblicato da Deloitte nei giorni scorsi c’è lo stato di salute del pallone europeo e in particolare delle Top Five League, i cinque campionati maggiori (Inghilterra, Germania, Spagna, Italia e Francia, che insieme fatturano 15,6 miliardi). 

Come sempre a guidare il gruppo c’è la Premier League, che mette insieme ricavi per 5,4 miliardi di euro, ma a correre è la Bundesliga, che cresce del 13% rispetto alla stagione precedente (ora è a 3,4 miliardi) e sorpassa la Liga grazie al nuovo accordo di vendita dei diritti televisivi che ha portato a un aumento di circa 290 milioni. 

Non che il campionato spagnolo se la passi male: ha sfondato per la prima volta il muro dei 3 miliardi di euro, grazie soprattutto alla vittoria della Champions da parte del Real Madrid e alla nuova sponsorizzazione quadriennale del Barcellona. Non è un caso, infatti, che nell’ultima Deloitte Money Footbal League le due spagnole sono tornate ai primi posti, dopo due anni di dominio del Manchester United.

Per quanto la Bundesliga corra, però, rimane pur sempre il dato di una Premier League che fattura il 72 per cento in più della seconda lega europea e che fatturerebbe di più anche solo con i diritti tv (3,2 miliardi, poco più degli interi ricavi della Bundesliga).

Il problema del calcio italiano è che cresce, ma troppo poco e senza boom per avvicinarsi al podio: nella stagione 2017/18 ha fatturato l’8% in più, arrivando a 2,2 miliardi, ma non ha ridotto il divario. In più c’è da comprendere anche in questo campo come Cristiano Ronaldo cambierà il campionato. Intanto, nella stagione esaminata, l’Italia ha avuto un calo dell’incidenza degli stipendi sul fatturato (66%), il più basso dal 2005/2006, ma, scrive Deloitte «l’acquisto da parte della Juventus di Cristiano Ronaldo e di altri importanti giocatori nella finestra estiva di mercato del 2018 causerà probabilmente aumenti salariali nella stagione 2018/19». 

E ci potrebbe anche essere un’impennata di cui si vedono solo i primi effetti. Scrive sempre Deloitte che «l’effetto “CR7” sui ricavi dei club italiani si vedrà per la prima volta nei risultati del 2018/19, ma il suo arrivo alla Juventus ha già mostrato i primi segnali: aumento delle presenze allo stadio, aumento del seguito sui social media e crescita delle vendite da merchandising; andrà verificato se questo si tradurrà in un impatto finanziario significativo». 

Prevedibile, invece, che siano negative le conseguenze di un andamento non brillante in Europa, visto che l’ultima crescita di fatturato ha due fattori: i ricavi sono aumentati per via delle maggiori entrate commerciali dell’Inter (dovuta anche ad alcuni diritti ceduti al gruppo Suning e alla conseguente apertura al mercato asiatico) e dall’accelerazione della Roma (passata da essere ventiquattresima nella classifica dei fatturati a essere quindicesima) che, arrivando in semifinale di Champions League, ha contribuito in modo significativa a maggiori entrate (84 milioni di euro di premio Uefa) e all’aumento generale del 24 per cento dei ricavi da stadio (con, anche, una maggiore affluenza per le due milanesi).

Dobbiamo guardarci dalla Francia

Facciamoci pace: non saremo mai all’altezza delle prime tre leghe d’Europa. Pur crescendo, il calcio italiano va piano e non si modernizza, avanza lentamente mentre le altre provano a correre. La stagione 2017/18 è stata la prima in cui nessuna delle squadre della serie A era nella top ten dei fatturati, l’Italia è comunque sempre sopra la Francia, ma farebbe bene a guardarsi le spalle, perché il nostro calcio ha quasi raggiunto il massimo possibile di guadagno per i diritti tv (l’ultimo contratto ha garantito un incremento del 3%), mentre i francesi hanno ancora qualcosa da dire. 

Il loro calcio riesce a crescere con gli introiti commerciali e i biglietti, fattura 500 milioni di euro in meno dell’Italia, ma dal 2020/2021 avrà un nuovo accordo per i diritti televisivi che porterà a un incremento del 55% dei ricavi (raggiungendo 1,2 miliardi a stagione e superando il miliardo italiano). 

L’Italia, invece, ha soprattutto il problema del pubblico allo stadio che non si scuote nemmeno con gli aumenti di presenze degli ultimi anni: l’Annual Review dai dati della stagione 2017/18 dice che l’Italia è l’ultima delle big five come percentuale di riempimento (59%, contro il 70% in Spagna, 72% in Francia, 90% in Germania e 96% in Inghilterra). 

 

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L’ultimo posto rimane anche con i dati dell’ultimo campionato, secondo Tranfermarkt: la percentuale è stata del 66%, in Francia è del 70,2%, 74,7% in Spagna, 89,4% in Germania, 96,5% in Inghilterra. È uno dei settori su cui bisognerebbe investire, ma è anche quello in cui sembra che le società si muovano meno, perché gli stadi restano gli stessi e chi vuol muoversi (come la Roma) trova una sfilza di ostacoli burocratici fino a quando non si arrende. 

L’unico modo che conoscono per aumentare i ricavi da stadio è spesso quello di alzare i costi dei biglietti, che però portano a una riduzione del pubblico e un lieve aumento dell’incasso. Un paradosso, come lo è la trasmissione di tutte le partite in diretta, che non è garanzia di un aumento del valore del prodotto televisivo, perché altrimenti lo farebbero anche in Inghilterra, dove (pur non trasmettendo una parte dell’offerta di ogni giornata di campionato) i soli ricavi da diritti tv sono superiori di un miliardo di euro all’intero fatturato della serie A.

Inoltre, bisognerebbe rendere il prodotto appetibile. E qui arrivano degli altri dati, che sono indipendenti dal ritorno di immagine dovuto all’arrivo di Cristiano Ronaldo.

Un campionato vecchio, con i vivai abbandonati

Il nostro campionato è tra i più anziani d’Europa: ha una media di 27,30 anni, inferiore solo a Turchia, Cipro, Russia, Ungheria, Grecia, non proprio i tornei di riferimento per stabilirne la competitività, e praticamente alla pari con la Spagna (27,34 anni). Le altre top league sono più giovani: non di moltissimo l’Inghilterra (27,17), decisamente giovane la Francia (26,40), ovviamente giovanissima – ed è il segno di come le giuste politiche paghino – la Germania (26,27).

L’assenza di investimenti tecnici sui giovani appare, dai dati del Cies, un problema diffuso nella nostra serie A, perché la più vecchia italiana è il Parma (29,87 anni di media) che era una neopromossa e ha preferito acquistare subito esperienza, ed è preceduta solo da squadra turche (quattro), cipriote (due), greche e ungheresi. Poi c’è il Chievo, che in tanti anni di serie A prima di retrocedere non sembrava voler puntare particolarmente sui giovani  (28,79 anni come età media). E poi c’è la Juventus, che vince da otto anni ma rimane con una squadra dall’età alta rispetto al resto d’Europa: 28,49 anni di media. Più vecchie della rosa della Juve ci sono solo due squadre delle altre top league: l’Eibar in Spagna, e il Watford in Inghilterra.

Vedendo chi ha vinto i campionati nelle altre quattro leghe maggiori e chi ha vinto le coppe il dato è significativo: più vecchie del Barcellona (campione di Spagna, 28,13 anni) ci sono anche Cagliari, Lazio, Spal e Inter. Invece Torino e Roma sono più vecchie della vincitrice della Bundesliga (Bayern Monaco, 27,88) e del Chelsea che ha trionfato in Europa League (27,70). Mentre Bologna e Napoli hanno più anni del Manchester City (27,13), primo in Premier League. E persino l’Atalanta, vista come modello per i suoi giovani, e le retrocesse Empoli e Frosinone, sono più anziane del Psg (26,65, primo posto in Ligue1), mentre il Liverpool ha vinto la Champions League con un’età media di 26,51 anni: una media più giovane anche della Sampdoria, quindi in totale di quindici squadre italiane.

Significativa è anche la percentuale di minuti dei cosiddetti club trained player, che è la definizione data ai giocatori che sono cresciuti nel club giocando almeno per tre anni, tra i 15 e i 21. Nella classifica dei campionati europeo fanno peggio dell’Italia solo Cipro e Turchia. Nelle società italiane i minuti giocati dai giocatori del vivaio sono il 5,53% (5,21 la Turchia, 5,45 Cipro). 

Anche qui la differenza con le top league è marcata: a partire dall’Inghilterra (9,29%) e via salendo con la Germania (14%), la Francia (14,52%) e la Spagna che con il 16,4% dimostra che la cantera non è solo un mito di cui si parla (la migliore è la Slovenia: 27,35%). 

L’italiana che utilizza più il vivaio è il Milan con il 20.73% dei minuti, parecchio distante dal 36,11% del Nimes (prima francese), dal 33,38% del Celta Vigo (prima spagnola dopo il Bilbao, che però ha una filosofia che lo mette fuori classifica con il 58,67%), dal 26,66% del Werder Brema (migliore tedesca) e dal 22,44% del Manchester United (record dell’ultima Premier League). 

La seconda italiana è la Roma (14,48%), mentre tre riferimenti fanno riflettere: la Juventus – che ha in ogni caso avuto il merito di essere l’unica a puntare sulla seconda squadra – ha vinto il campionato concedendo il 2,3% di minuti ai club trained player; l’Atalanta, dati alla mano, punta molto meno sul vivaio di quanto la narrazione sostenga (solo lo 0,13%); e ben quattro squadre (Bologna, Sampdoria, Inter e Spal) non hanno concesso alcun minuto a giocatori che tra i 15 e i 21 anni che abbiano giocato almeno tre anni nel club.

Per la Lega la soluzione a tutto è il “canale”

Quindi il calcio italiano cresce, ma piano. È lontano da Inghilterra, Germania e Spagna e rischia breve il sorpasso della Francia. Quel poco che cresce lo fa con i ricavi da stadio e commerciali, ma dimostra di impegnarsi ancora troppo poco perché questi aumenti diventino considerevoli e lo avvicinino alle migliori leghe europee, ha gli ascolti tv in calo e gli stadi più vuoti delle cinque top league. Ha un campionato vecchio e poche squadre usano i vivai. 

C’è di buono che, dice Deloitte, «più della metà dei club della Serie A ha registrato un utile operativo, in netto miglioramento rispetto allo scorso anno; tale risultato dimostra che i club italiani sono in grado di raggiungere la sostenibilità finanziaria dopo un lungo periodo di difficoltà». Ma è tutto chiaramente insufficiente. Bisognerebbe forse riunirsi e cercare di costruire un nuovo modello di business, provare uno sviluppo diverso dagli ultimi anni, basati solo sull’immediatezza dei diritti tv, ovvero soldi di altri che vengono distribuiti nelle tasche senza che i club abbiano bisogno di dotarsi di alcun management. Una sorta di assistenzialismo e basta, soluzione cara all’Italia non solo del pallone.

E invece cosa è successo nelle ultime riunioni della Lega di serie A? Hanno parlato di diritti tv, tirando fuori un progetto scartato pochi mesi fa e operatori bocciati dalla Lega stessa. L’idea è realizzare il canale della Lega di A dal 2021, visto che i diritti fino a quella data sono stati assegnati nell’ultima calda estate a Sky e Dazn. E il canale della Lega dovrebbe essere realizzato da Mediapro, la società spagnola cheun anno fa aveva preso l’intero pacchetto dei diritti per fare da intermediario, ma poi aveva creato delle condizioni di vendita che di fatto la rendevano un broadcaster e stava cercare di forzare il bando per diventare concretamente proprio un canale di Lega. 

Il bando è stato annullato dal tribunale proprio per la presenza invasiva di Mediapro e la Lega ha anche revocato l’assegnazione agli spagnoli perché riteneva insufficienti le garanzie presentate. La Lega aveva persino trattenuto i 64 milioni di caparra, come rimborso per l’inadempienza di Mediapro, ora oggetto di contenzioso. 

Ma improvvisamente gli spagnoli sono tornati interlocutori credibili, e nella prima riunionehanno presentato un piano per il canale di Legache prevede un fisso da 1.060 milioni di euro, 55 milioni per gli archivi e 78 milioni per la produzione e la distribuzione del canale. E la Lega si è fatta ingolosire ed è pronta ad anticipare a dicembre prossimo il bando, in modo da poter lanciare poi il canale già nella primavera del 2020, per avere un anno di tempo per limare poi tutti i dettagli e partire ufficialmente nel 2021. 

La votazione è stata praticamente unanime, visto che l’unico club a votare contro è stata la Juventus. Il grande regista di questa operazione è Marco Bogarelli, ex capo di Infront. A parlare con un ex Infront (e con Mammì, ex Sky), la Lega manderà il presidente Gaetano Micciché, un altro ex Infront (l’attuale a.d. della Lega A, Luigi De Siervo) e poi Claudio Lotito (che non ha mai nascosto il suo legame stretto con Infront) e Aurelio De Laurentiis. 

Ci sarebbe in realtà da fare un bando, ai sensi della legge Melandri, ma già si lavora sui cavilli e sulle scappatoie in punta di diritto.L’antidoto all’apertura di una nuova stagione calda è quello di creare una partnership tecnica per la realizzazione del canale nel triennio 2021-2024, da rivendere ai broadcaster, perché trasmettano quello che Mediapro non può. L’offerta degli spagnoli pare essere lievitata a circa 1,3 miliardi di euro, ma sembra un po’ più largo (non larghissimo) il fronte di quelli che, scottati dalla scorsa estate, aspettano le garanzie. 

Ma le domande sono le stesse dello scorso anno: le tv avrebbero interesse a mandare in onda un prodotto creato da altri? E con risposta negativa come rientrerebbe dall’investimento Mediapro? Tutto farà un ulteriore passo avanti lunedì prossimo, in una nuova riunione della Lega di A.

Per ora è sicuro che il calcio italiano usa sempre le stesse facce. Ed è sempre in attesa di qualcuno che mandi dei soldi, spremendo la parte della tv oltre il limite consentito dal prodotto in vendita. Un metodo che non regge perché poi cresceranno di nuovo i ricavi dalle tv delle altre, quelle che sanno incassare anche in altri modi, e quindi tutto tornerà come prima, saremo costretti a inseguire. Ma altri modi (e altre persone) per crescere sembrano non essere conosciuti. Forse non è un caso che il calcio italiano continui a stare lì, più o meno immobile anche quando sembra crescere, mentre le altre leghe diventano ogni giorno più grandi.

fonte ultimouomo.com

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By marcodalmen


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