Sulla via per Barcellona

25-06-2019 16:20 22 C.

Mi stava aspettando davanti all’androne di casa come una bambina alla partenza di una gita.

L’alba era fresca. Il cielo lasciava trasparire tutta la sua infinita profondità e i Pirenei rilasciavano il profumo di una primavera meritata.

Erano anni che ci voleva tornare, ma il lavoro al supermercato, la crisi e i due figli da crescere le avevano sempre fatto rimandare il viaggio.

Era dai tempi della scuola che Charo non tornava a Barcellona. Voleva rivedere la Sagrada Familia e lo diceva come se li dividesse una distanza incolmabile. Più nel tempo che nello spazio.

Charo era in credito con la vita. Era in credito con le persone che aveva incontrato sulla sua strada. Ed io ero una di quelle. Le ho dato sempre meno di quello che ho ricevuto. L’unica cosa che le ho dato in abbondanza è stata l’illusione di poterle donare la sicurezza di una relazione normale.

Allora ho convinto una sua collega a sostituirla il sabato e le ho regalato una gita a Barcellona. Con poco preavviso. Solo il tempo di affidare Xavi e Pablo alla nonna.

Niente autopista. Solo strade statali. Per vedere il panorama, per godere dei colori teneri della Navarra, poi quelli contrastanti dell’Aragona passando per Huesca, per entrare in quelli intensi della Catalogna attraverso Lleida, fino ad assaporare il profumo del mare di Barcellona.

Era felice, Charo. Parlava in continuazione. Eccitata come un’adolescente alla prima vacanza senza genitori. Era felice.

Anch’io lo ero.

Non solo per la soddisfazione di saperla contenta. Ma anche per quel retrogusto di gioia che da settimane si era sedimentato sul fondo della mia anima.

La qualificazione alla Champions League dell’Atalanta, la conferma di Gaperini a rimanere a Bergamo, la voglia dei Percassi di continuare a sognare avevano steso una mano di contentezza sull’anima di tutti quelli che hanno a cuore l’Atalanta.

Un qualcosa di indescrivibile. Un urlo che si è consumato in un tardo pomeriggio di Reggio Emilia, ma che ha lasciato un fondo che, credo, non si esaurirà mai.

Guardava la Sagrada Familia come non fosse vero che esistesse, con lo stesso animo con cui io pensavo alla qualificazione in Champions come fosse un sogno.

Poi la Pedrera, Casa Battlò, il Parc Guell. Un pranzo a base di jamon serrano da Sergi, un amico, nei vicoli stretti ed irregolari del Barrio Gotico. Un giro al Mercado de la Boquerìa.

La sera, una passeggiata fino in Plaça de Hyspania, a vedere le fontane colorate e una cenetta intima al Gaviota. Giù al porto.

Ha dormito un sonno tranquillo, Charo. Con un sorriso tenero sulle labbra e una leggerezza che si meritava da tempo.

“Spero che qui tu ci possa ritornare, fra qualche mese.”

Mi disse mentre passavamo nei pressi del Camp Nou, prima di prendere la strada del ritorno.

E’ una donna eccezionale, Charo. Mi aveva letto nell’anima. Mi aveva letto quel pensiero che per pudore, per scaramanzia cercavo di tenere schiacciato dentro l’anima.

“Già.”

Le dissi guardandola negli occhi.

“Ti ci porterò con me.”

“Ci verrò. Perché so quanto vale per te.”

Non ho mai tifato Barcellona. Mio padre tifava Real e il Tio tifa solo dentro l’anima. Mentre io nell’88 ero rimasto folgorato da quella squadra lontana, ai piedi della Maresana, che ha ricacciato tutte le tenui e false passioni calcistiche dell’adolescenza.

Ed ora non si trattava più di un sogno, quello di entrare al Camp Nou per vedere i neroazzurri oribici, ma di una possibilità prossima, legata solo alla sorte di una pallina dentro una boccia di vetro a Nyon.

Dormiva, Charo, nel viaggio di ritorno. Dormiva per la stanchezza di un week end di spensierata felicità.

Ed io ero felice. E mi gustavo la strada. I paesaggi teneri. L’aria sottile, che facevo entrare attraverso il finestrino, assieme ai profumi leggeri di un viaggio, che già immaginavo di rifare a breve.

Guidavo con la certezza che, se la sorte mi avesse riservato la grazia di rifarlo, al ritorno sarei stato felice. Esattamente come lo ero in quel momento, mentre imbucavo la valle che mi riportava verso Villava, con la sagoma di Pamplona a farmi da scudo e la presenza di Charo a farmi compagnia.

Perché sarei stato felice, indipendentemente dal risultato della partita.

Perché la felicità degli atalantini ha uno spessore. E non sarà certo una sconfitta a limarne le pareti. Sempre che con il Barça si perda.

Ho guardato Charo salire le scale.

Ho aspettato che di vedere la sua sagoma in casa. Attraverso le sottili tende di lino alla finestra. Ho aspettato il suo saluto, con la mano aperta, il sorriso e le labbra umide.

Lo rifaremo quel viaggio, Charo.

Lo rifaremo.

 

Rodrigo Dìaz

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By Staff di Atalantini.com


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