Al di qua del bene e del male

05-09-2017 04:44 63 C.

Il 14 agosto 2017, l’Atalanta ha giocato una prestigiosissima amichevole precampionato nel bellissimo Mestalla di Valencia. Un quotidiano locale online ha dedicato un bel pezzo a questa trasferta, e lo ha corredato con una fotografia che io ho trovato molto curiosa: un tifoso con la maglia atalantina, di spalle, che guarda il campo dall’alto degli spalti dello stadio spagnolo. Sulla maglia, un nome di quattro lettere: Doni.
Quando ho visto quell’immagine mi son detto: curioso che, dopo tutti questi anni, per alcuni o forse molti di noi, Doni sia ancora un simbolo da portare addosso, vero? Il fatto che Cristiano Doni sia ancora nei cuori di molti atalantini è indiscutibile, quanto piuttosto singolare. Si tratta senza dubbio di uno dei più grandi campioni che abbiano mai vestito la maglia nerazzurra, ed è stato, fino al momento del drammatico crollo, anche un forte catalizzatore di unione intorno ai nostri colori. Dal momento in cui sono venute alla luce le sue colpe nel caso del calcioscommesse, però, sulla sua figura si è creata una tempesta turbinosa.
Ora, dopo anni, c’è chi lo ha condannato e ripudiato definitivamente. Ma continua ad esserci, invece, chi lo ama ancora, si porta addosso la sua maglia come talismano nelle migliori occasioni, e magari vorrebbe rivederlo un’ultima volta in campo vestito di nerazzurro, magari negli ultimi 5 minuti di una delle prossime partite di coppa. Tra i due estremi, tutte le sfumature possibili.

Doni è stato un traditore? Oppure è solo un capro espiatorio, che paga, praticamente da solo, tutte le colpe di un sistema marcio?
Io davvero non lo so. Ho sempre avuto dei problemi nel prendere posizione e nel giudicare. Credo che sia troppo facile esprimere giudizi da un punto di vista “benpensante”, sulla base di categorie facili da applicare, perché in genere la vita è più complessa di come appare a prima vista. Analizzato a fondo, anche il tema del tradimento ci costringe infatti a riflessioni non ovvie a un primo sguardo superficiale.

Tra le persone che hanno coraggiosamente affrontato questo spinoso tema, due autori come Bertrand Russell e Jorge Luis Borges, entrambi intenti ad analizzare il ruolo del traditore per eccellenza: Giuda Iscariota.
Forse sembrerà blasfemo ad alcuni un paragone tra Giuda e Cristiano ma, a parte l’assonanza misteriosa dei rispettivi nomi, io mi sento di azzardarlo anche solo in considerazione del fatto che per tutti noi, qui dentro, l’Atalanta è una fede.
E forse mi aiutano le parole di Borges dedicate allo scritto che vi riassumerò in seguito, che ne anticipano gli spinosi contenuti:

“In un cenacolo di Parigi o anche di Buenos Aires, un letterato potrebbe benissimo riscoprire le tesi di Runeberg; queste tesi, così proposte in un cenacolo, sarebbero leggeri ed inutili esercizi della negligenza e della bestemmia”.

Comincio quindi il mio esercizio di negligenza e di bestemmia da Bertrand Russel, e dal suo fantomatico (perché non sono riuscito a trovarne traccia) ma peraltro citatissimo saggio The problem of natural evil (Tradotto in Il problema della malvagità naturale, che però io tradurrei: Il problema del male naturale). In questo scritto del quale, ripeto, non ho trovato la fonte originale, Russell individua quattro gravi contraddizioni nel fenomeno della condanna di Giuda alla vergogna eterna:

Se Gesù aveva previsto il tradimento di Giuda, allora Giuda non aveva nessun libero arbitrio e non poteva evitare di tradire Gesù. Quindi, Giuda non può essere ritenuto colpevole

Se Giuda non ha il controllo la propria azione di tradire Gesù, perché essa è semplicemente parte essenziale del disegno complessivo della redenzione, allora la sua punizione e rappresentazione come traditore, nella cultura occidentale, non è meritata

Se Giuda è stato mandato all’Inferno per il suo tradimento, ed il suo tradimento era un gradino necessario nella morte di Gesù Cristo per la redenzione dell’umanità, allora Giuda è stato punito per la salvezza umana

Se Gesù ha sofferto soltanto mentre moriva sulla croce ed è quindi asceso al Paradiso, mentre Giuda deve soffrire per l’eternità nell’Inferno, allora Giuda ha sofferto per i peccati dell’umanità molto più di Gesù, ed il suo ruolo nella penitenza è molto più importante

Borges probabilmente fa tesoro delle riflessioni logico-filosofiche di Russel, e le impasta in una narrazione affascinante. Con la licenza che può permettersi un poeta, egli fantastica, nel suo Tre versioni di Giuda, che un immaginario teologo svedese di nome Nils Runeberg abbia trascorso tutta la propria vita studiando la questione di Giuda, producendo tre grandi opere dedicate al tema.

Nella prima versione del libro Kristus och Judas (Cristo e Giuda), Runeberg sosterrebbe (se fosse davvero esistito) che Giuda altro non era che il riflesso specchiato di Gesù nel mondo degli uomini. Essendo Gesù il salvatore inviato dal cielo, Giuda si assumeva l’onere di essere l’uomo che gli permetteva, grazie al suo tradimento, di prendere il cammino verso la redenzione.
Questo perché, senza il tradimento di Giuda, non ci sarebbero state nessuna passione né resurrezione, e dunque nessuna redenzione. Secondo il libro immaginato da Borges, dunque, da discepolo del Verbo, Giuda si è abbassato coscientemente alla condizione di delatore e, infine, di ospite dell’Inferno.
Così come l’ordine inferiore è specchio del superiore, così come le macchie della pelle sono una carta delle costellazioni incorruttibili, così Giuda, nella sua scelta, rispecchia Gesù.
La figura di Giuda esce così dall’ombra eterna della riprovazione, e comincia ad assumere un ruolo, inferiore ma pur sempre essenziale, nel disegno della redenzione. Da una parte si trova il Cristo, uomo ma divino, dall’altra parte, ma non meno importante, sta Giuda, il riflesso di Gesù nel mondo degli uomini comuni, privi dell’incorruttibilità divina. Ma in questo suo essere, Giuda è necessario non meno di quanto lo sia Gesù.

Nella storia narrata da Borges, Runeberg viene sommerso dalle critiche per questa sua audace tesi, e decide di riscrivere il suo libro. Tuttavia, le tesi che propone appariranno ancora più audaci. Secondo l’immaginario teologo, infatti, secondo quelle che Borges descrive come “oblique ragioni di ordine morale”, nella seconda versione del suo libro il sacrificio di Giuda viene considerato persino più grande di quello dello stesso Gesù.
Questa la sequenza logica del ragionamento: Runeberg “dapprima ammise che Gesù non aveva bisogno di un uomo per redimere tutti gli uomini. Poi argomentò: Giuda era stato scelto da Gesù come suo apostolo, con le medesime prerogative di tutti gli altri apostoli. Ma un uomo scelto dal Signore merita la più benevola interpretazione dei suoi atti: non può dunque ritenersi che il tradimento fosse motivato dalla cupidigia. Anzi, Giuda lo compì per eccesso di ascetismo.
L’asceta mortifica la carne, egli mortificò lo spirito.
Rinunciò all’onore e al regno dei cieli per gigantesca umiltà; si stimò indegno di essere buono; cercò l’Inferno, perché la felicità del Signore gli bastava. La felicità, ritenne, è un attributo divino, che non pertiene agli uomini. Giuda scelse quelle colpe cui non visita alcuna virtù: l’abuso di fiducia e la delazione”,

Ovviamente, lo scandalo suscitato da questa seconda versione del libro fu ancora superiore a quella precedente. Runeberg si trovò a lavorare nel più competo isolamento per il resto della propria vita. Finché, poco prima di morire per la rottura di un aneurisma, pubblicò un ultimo libro. Il libro si intitola Den hemlige Frälsaren (Il Salvatore segreto). Runeberg vi sostiene che il sacrificio di un pomeriggio trascorso sulla croce non può essere paragonato con quello dell’accettare il disonore e la riprovazione eterna. Vi matura quindi la tesi per cui un Dio in forma umana dovesse essere “interamente uomo, uomo fino all’ingiustizia”. Secondo questi nuovi argomenti, Dio s’abbassò alla condizione di uomo per la redenzione del genere umano; e fece in modo che il suo sacrificio fosse perfetto, privo di omissioni.
A supporto di questa tesi Runeberg sostiene, per esempio, che la figura di Gesù come Dio fattosi uomo è di difficile accettazione, perché: “Affermare che fu un uomo e che fu incapace di peccato, implica una contraddizione: gli attributi di impeccabilitas e di humanitas non sono compatibili”.
Per superare questa e le altre contraddizioni, sembra necessario ammettere che per compiere davvero e fino in fondo il proprio disegno: “Dio interamente si fece uomo, ma uomo fino all’infamia, uomo fino alla dannazione e all’abisso”.

Forse vi siete già resi conto di dove vada a parare quest’ultimo illusorio libro del fittizio teologo Nils Runeberg. La tesi è paradossale, ma al tempo stesso è così agghiacciante che mentre la scrivo mi si accappone la pelle. Si tratta infatti di una tesi talmente audace da essere definita dallo stesso Broges “mostruosa”:
Scrive infatti Borges che, secondo Runeberg, Dio: “…al fine di salvarci, avrebbe potuto scegliere uno qualunque dei destini che tramano la perplessa rete della storia. Sarebbe potuto essere Alessandro, Pitagora o Rurik, oppure Gesù. Scelse un destino infimo. Fu Giuda”.

E, giunti alla fine di questo capovolgimento della figura del traditore, e questo punto io mi chiedo: nella stessa misura in cui Dio può essere Giuda, può Doni essere l’Atalanta? In quale misura il tradimento di Doni ha permesso all’Atalanta di essere quello che oggi è?

Una risposta a questa domanda potrebbe, forse, spiegare l’amore che alcuni continuano a provare per lui.

 

FRANCESCO64

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By Staff di Atalantini.com


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