La Savoldata: goleada

19-11-2019 19:20 9 C.

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QUEL FINTO BUONISMO PER GUADAGNARE LA RIBALTA UMILIA IL GIOCO DEL CALCIO

Qualche mese fa, in un editoriale per TuttoC.com decisi di entrare nel merito di una delle pagine più brutte e vergognose del calcio. Il Cuneo aveva vinto 20-0 contro la Pro Piacenza e qualcuno cercava di far passare per martiri i giocatori schierati in campo, complici in realtà di un illecito sportivo, solo per il gusto di dire di aver giocato, si fa per dire, in Serie C.
Quei ragazzi infatti non provenivano dalle giovanili del club emiliano, ma erano stati reclutati per l’occasione tra gli svincolati.

Mi toccò spiegare che un vero professionista non avrebbe mai accettato una simile farsa. Chiunque abbia mai fatto un’esercitazione 11vs7 sa bene che in 100 minuti fare 20 gol è il minimo. Figuriamoci se come avversari ci sono 7 scappati di casa e non dei veri giocatori di calcio!
La vera mancanza di rispetto fu nei confronti dei giocatori del Cuneo che, nonostante il ritardo degli stipendi e le penalizzazioni, stavano facendo il loro lavoro. Mentre i “giocatori per un giorno” della Pro Piacenza, invece di starsene buoni buoni nella propria metà campo, andavano a pressare in netta inferiorità numerica gli avversari.

Se il Cuneo si fosse davvero fermato sul 6-0, 7-0 anziché sul 20-0 nessuno si sarebbe accorto di quello che stava succedendo nel nostro campionato di C. Invece il Giudice Sportivo deliberò immediatamente l’esclusione della Pro Piacenza dal torneo proprio grazie a questo trambusto.

Poche settimane fa qualche “voce autorevole” del calcio italiano ha tirato di nuovo in ballo un ipotetico codice etico del calcio. Dopo Atalanta-Udinese (7-1) infatti i giocatori nerazzurri sono stati accusati di anti sportività per non essersi “fermati”, mancando così di rispetto all’avversario.

Mi sarebbe piaciuto intervenire in diretta per chiedere a quale punteggio o con quanti gol di scarto ci si deve fermare. A 5/6? Perché?

Certi discorsi mi ricordano le partite nei prati o sull’asfalto, quando i pali erano un sasso, lo zaino, il cappello, per cui la traversa immaginaria variava in base all’altezza del portiere. Mi sembra di sognare. Vogliamo inventare una regola per cui l’arbitro dopo il 5^ gol mischia le squadre per equilibrare la partita, come al campetto?

Nel frattempo, proprio la scorsa settimana, un allenatore toscano (categoria Juniores) viene esonerato, reo di non aver “fermato” i propri giocatori evitando un irrispettoso 27-0 nei confronti degli avversari.
Inevitabili i post sarcastici (Mancini esonerato, etc) ieri sera dopo la vittoria degli Azzurri per 9-1 ai danni dell’Armenia (siccome nazionale non irrispettoso?).

Ai discorsi filosofici preferisco sempre esempi pratici, per cui vi racconto un’esperienza personale.

Domenica 12 gennaio 2003, allo Stadio Delle Alpi si gioca la penultima giornata del girone di andata di serie A: Juventus vs Reggina.

I bianconeri, allenati da Marcello Lippi, scendono in campo con Buffon in porta; Zambrotta, Thuram, Ferrara, Birindelli; Camoranesi, Conte, Davids, Nedved; Del Piero e Trezeguet.

Mancano 7 minuti alla fine e la Juve sta vincendo per 4-0 (Conte, Trezeguet, autogol di Cozza e Del Piero).

Marco Di Vaio, entrato pochi minuti prima al posto di Pavel Nedved, triangola con David Trezeguet e segna il quinto gol. Mi avvio verso il centro del campo per riprendere il gioco quando un mio compagno di squadra si avvicina a Di Vaio e lo insulta per i motivi di cui sopra.
Il giocatore della Juve gli risponde seccato poi il battibecco si interrompe nel momento in cui l’arbitro fischia.
A fine partita davanti a tutti continua quella terribile sceneggiata.
Senza dar troppo nell’occhio ho invitato più volte il mio compagno di squadra a piantarla, poi mi sono allontanato.
Quel giorno ho subito una delle sconfitte più nette e pesanti di tutta la mia vita.
Ma la vergogna che ho provato in quegli attimi a gioco fermo, era ben più grande della “cinquina” appena presa.
I gol subiti fanno parte del gioco e a distanza di anni, contro quei campioni sono anche un dolce ricordo; peccato non poter dire la stessa cosa di quella inutile rissa.

 

Gianluca Savoldi

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