Le mangiatrici di ghiaccio

26-11-2017 04:47 14 C.

Trovo che Deniz sia un nome bellissimo. Significa “mare”, in turco. Ed è dedicato alle donne.

Dovrei essere a Liverpool. Invece sono ad Istanbul.

Troppo casino per i biglietti. Troppe complicazioni assurde. Odio questo calcio moderno. Non fosse per l’Atalanta, forse non lo seguirei più.

Per uno come me, che per lavoro non può decidere di assistere ad una trasferta se non poche ore prima, sarà impensabile poter seguire la Dea. Per me, che ero scappato di casa con la macchina di mio padre per andare a Lisbona, nell’88, è una mano che stringe il cuore.

Così ho accettato l’invito del mio cliente ed amico Akoymak per discutere di un lavoro importante.

Sono sceso al solito hotel. Cinque minuti a piedi da Taksim. Ormai mi conoscono, lì.

Tre ragazze con il velo. Le incrocio nella hall, mentre mi sto registrando e il solito Atilla, in livrea, mi prende la valigia e la porta in camera.

Tre ragazze dal volto ovale. Solo quello può essere messo alla luce del sole. Hanno un’età indefinita. Forse giovani, forse sulla trentina. O forse meno. Gli occhi sono grandi e profondi. Senza forse.

Nell’ufficio di Akoymak c’è anche Deniz. Ha sempre un perché, Deniz. Anche con il pancione. I lineamenti sono di un altro tempo. La voce di un altro senso. La classe di un altro spessore.

Dopo l’incontro, andiamo a cena. Sono in macchina con Akoymak. Prima mi porta a vedere lo stadio del Besiktas. Per l’ennesima volta. Lui tifa Besiktas quanto io l’Atalanta. Dopo la moglie e i due splendidi figli, viene il Besiktas. E questo è l’ordine ufficiale. Quello ufficioso è celato da un sorriso.

Ceniamo presto. Sa che vorrei vedere la partita, che qui, per via del fuso, sarà trasmessa alle 23,00.

Ristorantino intimo sul bosforo. Dalla strada quasi non si vede. Di classe e tranquillo. Abbiamo il tavolo prenotato. Quando entriamo, vedo Deniz seduta che ci aspetta.

“Sorpresa!”

“Insperata, ma sognata.”

Le rispondo di getto.

Parliamo di lavoro, durante la cena, io ed Akoymak.

“Smettila adesso. Non vedi che ha già la testa all’Atalanta?”

Ci spiazza entrambi, Deniz.

Mi riaccompagna lei in hotel, con la sua auto. Guida con disinvoltura fra le auto indisciplinate e le luci della notte di Istanbul. Notti così si vedono solo qui, dove la storia impregna le strade e l’atmosfera, anche senza il bisogno dei monumenti.

“Good Luck!”

“A me o all’Atalanta?”

“All’Atalanta. A te questo.”

Un abbraccio fortissimo. Un bacio sulla guancia. Sento il suo pancione comprimersi al mio.

La guardo mentre se ne va.

Il cameriere del bar dell’hotel mi ha già trovato il canale dove la trasmettono. Commento in turco. Non importa.

La guardo lì, la partita. Al bar dell’hotel. Sul divanetto, con una Efes a farmi compagnia. Che diventeranno due. Poi tre. Quattro.

Gol. Cristante. Comunque finisca, è già storia.

Poco distante si sistemano le tre ragazze che avevo incontrato la mattina. Quelle con il velo. Quelle con la faccia ovale e gli occhi profondi.

Tifo incredibile. Le telecamere del Goodison Park tremano sotto l’impeto dei bergamaschi. Quel tifo sano. Pane e salame. E Atalanta. Quel tifo che nacque qui un secolo e mezzo fa.

Il cameriere, che ormai conosco da anni, porta una ciotola nera alle ragazze. E’ quasi mezzanotte. Ridono e scherzano, guardando il cellulare.

“Sai cosa ho portato a quelle ragazze?”

“No.”

“Il ghiaccio.”

Si chiama Emre, il cameriere. Come il calciatore turco che un tempo vestì il neroazzurro sbagliato. Ma questo fa così di nome, mentre l’altro si chiamava Emre di cognome. E’ meno stupito di me, ma solo
perché non è la prima volta che serve il ghiaccio a quelle ragazze.

Di nuovo Cristante. Poi il gol inglese. Poi il rigore sbagliato. E’ storia. E’ incredibile, come quelle ragazze che masticano cubetti di ghiaccio, mentre si divertono con i cellulari.

Incredibile.

Come incredibile è il sinistro di rinculo di Gosens.

Come il quarto gol di Cornelius. Come più incredibile ancora è la sua doppietta. Preso per il collo da un difensore, ha comunque colpito di testa come voleva e mandata la palla dove voleva.

Incredibile come tre ragazze col velo divorino cubetti di ghiaccio in allegria.

Non ho voglia di andare a letto.

La una di notte è passata. A Taksim ci sarà ancora molta gente, ma preferisco tranquillità.

Il taxi mi porta sul Bosforo. Mi faccio lasciare vicino al porto di Yenikapi e proseguo a piedi.

Cammino vicino al mare. Il profumo intenso di Istanbul, del Bosforo, delle correnti fanno da cornice all’emozione di una vittoria storica. Incredibile.

Guardo i ponti illuminati che uniscono due continenti. Un solo mondo. Una sola città.

Sarà bello, in futuro, associare il ricordo di questa vittoria fantastica a quest’atmosfera carica di profumi speziati e di storia. Come di storia si tratta quello che ha compiuto l’Atalanta.

Non voglio pensare a quelli che diranno che gli inglesi erano scarsi. Che la fortuna ha guardato giù. Che tutto sommato ci è girata bene. Che i bambini africani muoiono di fame. Che ci vuole la pace nel mondo. Che c’è il buco nell’ozono.

Voglio pensare all’Atalanta. A Charo e ai ragazzi.

Voglio pensare al Tio e alla sua bronchite che sembra guarita.

Voglio pensare a Deniz e ai suoi occhi mediorientali.

Il venditore ambulante di kebab tiene aperto tutta notte. Prendo un panino. Gli lascio anche la mancia, se mi dà un bicchiere di coca cola vuoto, con dentro solo cinque cubetti di ghiaccio.

Il panino lo getto appena girato l’angolo. Sgranocchio i cinque cubetti di ghiaccio. Come i cinque gol della storia.

Rientro in albergo che ormai albeggia.

Una doccia e subito il taxi per l’aeroporto. Per rientrare a casa.

Il traffico è già da metropoli. Da Istanbul.

Chiudo gli occhi e ripenso a quella vittoria storica.

E alle mangiatrici di ghiaccio.

 

Rodrigo Dìaz

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By Staff di Atalantini.com


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